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Il Mio Angolo Personale

Settore Giovanile: Il Futuro comincia Adesso

17 Maggio 2020

Settore Giovanile: Il Futuro comincia Adesso

Anche se il futuro sembra lontano, in realtà comincia proprio adesso

Ho scelto le parole di Mattie JT Stepanek (poeta americano) per introdurmi ad alcune considerazioni che mi sono balenate nella mente in questo periodo di sosta forzata.

Il punto della questione è piuttosto semplice ma non del tutto banale: “un ragazzo – parliamo dunque di settore giovanile – ha la consapevolezza di ciò che gli viene insegnato (dal latino tardo insignare ‘incidere, imprimere dei segni’, sottinteso, nella mente) e di cosa sia più importante per il suo futuro”?

Sono giorni che ci sto pensando ma al momento non riesco a trovare una risposta che mi convinca.

Forse però, bisognerebbe partire da una domanda diversa: “cos’è più importante per il futuro del giovane calciatore”? Probabilmente, trovata la risposta avremo le idee più chiare.

  • Giochisti contro Risultatisti

Nell’aprile 2019, Lele Adani e Massimiliano Allegri si resero protagonisti di un acceso diverbio in diretta tv, in cui entrambi cercavano di far valere le proprie ragioni: da una parte la bellezza del gioco (i “giochisti), dall’altra l’essenzialità del punteggio (i “risultatisti”). Una diatriba che mi ricorda come il tema sia sempre d’attualità anche coi più giovani.

Se il mondo degli Adulti è affare che poco mi compete per esperienza e obiettivi personali, il settore giovanile è la mia casa. L’amore che nutro per questo settore mi fa vivere la mia predisposizione con grandissima serenità e passione, lontano dal voler scalare stagione dopo stagione la vetta di quella piramide che porta a rimborsi esosi e a maggior visibilità.

La bellezza salverà il mondo”, scriveva Dostoevskij; ma cos’è la bellezza nel gioco del calcio? C’è chi sostiene che il concetto sia piuttosto aleatorio – incerto – per ovvie ragioni soggettive. C’è chi dice sia giocare come ci si allena, replicando in gara lo spartito provato in settimana. C’è chi afferma sia una sinfonia suonata da un’orchestra perfetta.

Se queste definizioni trovano tutte un fondo di verità, mancano a mio avviso di un mattoncino “stabilizzatore” quando ci focalizziamo sui più giovani. Come definiremo oggi il calcio formativo? Quali sono gli elementi che lo contraddistinguono?  Cos’è più importante per il futuro del ragazzo (vi ricorda niente?)?

Anche se a tal proposito qualche ostinato potrebbe ancora non essere d’accordo, un calcio formativo passa inevitabilmente per il controllo del possesso e degli spazi.

Il voler essere attori protagonisti della gara, determinandone il contesto tattico della sfida, evitando “pessime scommesse” (spizzate, palloni buttati e palle alte), credo di poter tranquillamente sostenere sia ciò che maggiormente permette al ragazzo di migliorareLa voglia di divertirsi e di avere il pallone tra i piedi, di accrescere autostima, coraggio e responsabilità, passano inevitabilmente per un calcio in cui qualche rischio bisogna pur correrlo, in cui il giocatore sia messo sempre nella condizione di dover prendere scelte in piena autonomia.

Mauro Berruto, nel libro “Capolavori“, scrive: “La bellezza del gesto che inseguiamo non è nel numero di trofei vinti, non si misura con il termometro della popolarità o degli zeri su un contratto. E’ altrove. [..] Guardate gli atleti vittoriosi su un podio. Ci salgono ebbri di gioia, poi, ricevuta la medaglia, lo sguardo cambia, un velo di melanconia si impossessa dei loro occhi. E’ come se si rendessero conto che è finito un viaggio, meraviglioso“.

Questa sensazione la conosco bene, l’ho provata sulla mia pelle nell’aprile del 2015. Alla guida di una squadra di Giovanissimi Regionali che sulla carta partiva con tutti i favori del pronostico (diversi di quei ragazzi hanno poi avuto esperienze tra i professionisti o militano oggi tra serie D e Promozione), nel girone di ritorno ci si avvicinava domenica dopo domenica sempre più all’aritmetica della vittoria del campionato. Col passare delle giornate mi chiedevo cosa avrei provato al termine di quell’ultimo triplice fischio finale che avrebbe sancito l’inizio dei festeggiamenti. Nella mia testa avevo cominciato a farmi dei “mega-viaggi”, idealizzando un momento che avrei pensato di vivere per settimane e settimane. Se a distanza di anni ricordo quel post partita come un bellissimo ricordo, non riesco a dimenticare neppure quel senso di malinconia e di sconcerto che mi assalì già verso sera: “veramente era già tutto finito? Tutto lì?”

Cinque anni dopo ho però, di quei due anni passati assieme, ricordi indelebili di quei ragazzi che ho accompagnato in quel lungo viaggio, con centinaia e centinaia di ore passate sul campo a coltivare la medesima passione. Per queste ragioni mi trovo ad interrogarmi spesso sull’importanza del nostro ruolo di allenatori e su cosa proviamo/dobbiamo trasmettere ai nostri ragazzi. Ho grandi perplessità quando un giovane sostiene: “l’obiettivo è andare ai play-off o vincere il campionato”. Ma a quale prezzo?

Sempre Berruto scrive: “allenare significa aiutare essere umani a realizzare i propri obiettivi, risvegliando le possibilità che sono in loro, vederli migliorare e, forse, un giorno vincere“.

Tutti noi lavoriamo e giochiamo per vincere (ci mancherebbe che non fosse così). Il punto cruciale è chiedersi se stiamo lavorando in ottica futura o per noi stessi, se ciò che gli stiamo proponendo sia ciò che più si avvicina al concetto di calcio formativo. I trofei di oggi, seppur diano lustro alla società (ma forse bisognerebbe cambiare paradigma), finiscono il giorno dopo per prendere polvere in cantina, col rischio di aver gettato un’intera stagione cavalcando il principio del non correre rischi: una difesa bassa e ben allineata, il pressing attendista nella propria metà campo difensiva, un lancio lungo che diventa una costante.

“Il problema del futuro è che solitamente arriva prima che noi si sia preparati a riceverlo”.

Le parole di Arnold H. Glasgow (psicologo statunitense) sembrano suonare come un azzeccatissimo monito per tutti coloro che hanno a che fare coi giovani.

La vittoria di un campionato o una qualificazione ai play-off, seppur siano momenti che finiranno per diventare indelebili nella mente di chi li vive, non assicurano nessun futuro al ragazzo, nessuna certezza di poter giocare ad alti livelli. Il futuro va costruito, oltre che con dedizione e sacrificio – valori che oggi sembrano paradossalmente avere poca importanza – con un calcio formativo e coerente (non solo durante gli allenamenti).

Questo è un appello a voi, ragazzi.

Dubitate delle falsi illusioni. Dubitate delle false promesse. Dubitate di una vittoria figlia di tanti compromessi e tante rinunce. Crescete con coraggio, affrontate i rischi e il pericolo. Gli atleti vincenti sono coloro che vanno a cercarsi difficoltà da superare e problemi da risolvere. Siate a proprio agio nelle difficoltà e capaci di trasformare i problemi in opportunità.

Abbiate la consapevolezza di valutare il tragitto e non solamente la meta raggiunta coi vostri compagni. Date valore agli ostacoli che avete superato assieme, talvolta con prove brillanti ed altre inciampando inevitabilmente nelle difficoltà che finiranno per farvi crescere.

Anche se sicuramente risulteranno più “dirette” (l’analogia con qualche modello di gioco qui sarebbe troppo facile), imbarcatevi sempre con tanta perplessità davanti alle scorciatoie. Quelle che oggi sembrano le strade più brevi per arrivare alla meta, potrebbero trasformarsi domani in un maledetto trabocchetto.

 

“Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare la legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”

(“Il Piccolo Principe”, di Antoine de Saint-Exupèry)

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