“Creatori di metodo”: Periodizzazione tattica
Crearsi un proprio metodo sta alla base dell’essere allenatore autentico, profondo ed evoluto.
Dobbiamo considerarci come una figura curiosa, rispettosa del passato ma aperta all’innovazione e
in costante sviluppo.Se è vero che “siamo tutti ladri delle idee altrui”, come sostiene Guardiola, attraverso il viaggio di questa rubrica proveremo a riflettere sugli aspetti caratteristici delle metodologie più affermate, allo scopo di condurre l’allenatore a decidere, in totale autonomia, come rielaborarle ed eventualmente farle proprie, diventando creatori di sé stessi.
Ben ritrovati all’interno del nostro viaggio attraverso le metodologie che più hanno influenzato l’ambito calcistico negli ultimi decenni. In questa tappa cercheremo di cogliere qualche opportunità di riflessione dal metodo Coerver Coaching.
Ideatore di questa metodologia fu Wiel Coerver, ex giocatore professionista ed allenatore olandese che, durante gli anni ’70, sviluppò questo approccio metodologico. Nel periodo seguente, grazie alla collaborazione di altre due figure di riferimento, come Alfred Galustian e Charlie Cooke, questo metodo venne divulgato in tutto il mondo attraverso varie federazioni nazionali e club professionistici.
A differenza delle precedenti metodologie che ho osservato e su cui abbiamo riflettuto, il Coerver Coaching non prevede un approccio sistemico, bensì suddivide e destruttura in maniera netta le singole abilità tecnico-tattiche del calciatore per poi reinserirle in un’idea di gioco collettiva (vedi la “Piramide dello sviluppo del calciatore”).
Cominciando con le nostre riflessioni, iniziamo ponendoci una domanda basilare per diventare creatori di noi stessi: quale approccio metodologico vogliamo utilizzare per sviluppare al meglio le abilità individuali dei nostri calciatori?
Come primo aspetto inizierei a considerare quanto vogliamo vivere nella complessità e quanto invece riteniamo sia utile semplificare o addirittura scomporre, in quanto questi “parametri” andranno ad incidere in maniera determinante sull’apprendimento dei nostri calciatori.
Vivere nella complessità attraverso le proposte settimanali è ciò che più ci avvicina al contesto gara che andremo a vivere insieme ai nostro ragazzi nel weekend, ma dobbiamo tuttavia considerare il fatto che tutti i nostri giocatori, essendo degli individui unici e irripetibili, vivranno questa complessità in maniera totalmente differente tra loro; ci saranno ragazzi che si troveranno più a loro agio e magari si “esalteranno” all’interno di questa complessità, accrescendo così le loro capacità individuali, mentre altri potrebbero inizialmente “viverla come un peso”, non riuscendo ad esprimersi appieno e migliorare le proprie abilità.
Penso sia un dovere dell’allenatore non dare per scontato che tutti i giocatori si trovino immediatamente a loro agio nella complessità ed anzi, dovrà accettare queste diversità e muoversi verso una metodologia inclusiva, che rispetti il proprio “credo calcistico” e della società per cui si opera, ma che accetti qualche piccolo “compromesso” utilizzando proposte ed approcci (e di conseguenza modalità di apprendimento) che aiutino quei giocatori che momentaneamente faticano a vivere appieno la complessità del gioco.
Altro aspetto che ritengo sia giusto considerare è che vi sono alcune gestualità tecnico-tattiche individuali (condurre, trasmettere, smarcarsi) che, all’interno di proposte dall’alto grado di complessità, vengono allenate con grandissima frequenza mentre altre (crossare, respingere di testa una palla proveniente dall’esterno, calciare in porta) si verificano con bassa ripetitività.
Ecco quindi che semplificare o scomporre potrebbero essere, da parte dell’allenatore, una delle strategie metodologiche atte ad agevolare il manifestarsi di alcune gestualità e comportamenti individuali, in modo da aumentare il momento esperienziale dei giocatori.
A mio avviso la strada maestra rimarrà quella di favorire un apprendimento in funzione delle reali condizioni di gioco e di tutte le innumerevoli relazioni ed interazioni che si creano all’interno di esso, ma ciò non toglie che per situazioni o momenti di necessità la scelta di noi allenatori possa ricadere sul semplificare o scomporre, sempre con il fine ultimo di sostenere la crescita e lo sviluppo dei giocatori: il valore aggiunto che potremo dare noi allenatori sarà quello di saper “dosare” gli interventi attraverso questa modalità operativa.
E’ mia ferma convinzione, portata da conoscenze e soprattutto esperienze, che l’essere integralisti verso un approccio metodologico rispetto agli altri, sia un limite che ci poniamo nell’essere allenatori. Avere una mentalità aperta, conoscere e sperimentare diversi approcci, essere predisposti al cambiamento (una stagione, così come una squadra, non sarà mai uguale all’altra) non sono forse aspetti che richiamano proprio a quell’adattabilità che richiediamo ai giocatori per imparare a vivere nella complessità?
Un altro tratto caratteristico di questa metodologia è la linearità di progressione dal semplice al complesso e lo possiamo ben notare osservando nuovamente la “Piramide dello sviluppo del calciatore”. Si inizia con il rapporto “io e la palla”, per proseguire poi con i momenti “io, la palla ed il compagno” e “io, la palla e l’avversario”, terminando con le situazioni di piccola collaborazione in presenza di avversari.
Quando viene utilizzato un approccio lineare, l’insegnante, in maniera predeterminata e senza considerare le caratteristiche di chi avrà di fronte, decide il percorso da intraprendere (ciò che si dovrà imparare) dando agli allievi l’obiettivo di superare uno step per volta in maniera sequenziale. Personalmente percepisco questa modalità innanzitutto come poco “naturale”, in quanto, fin da bambini, la maggior parte delle attività che svolgiamo, da quelle più banali a quelle più particolari, non hanno uno sviluppo di questo tipo. In secondo luogo credo che sia poco accattivante per qualsiasi allievo avere un insegnante che decida per lui cosa imparare e quando impararlo, tarpando esigenze ed emozioni che sono invece carburante fondamentale per un apprendimento profondo, frutto di scelte consapevoli.
Utilizzando un approccio non lineare innanzitutto si esce dalla “legge” della progressione semplice – complesso, lasciando maggiore libertà di esplorazione all’allievo che, mosso principalmente dalle proprie esigenze, risulterà estremamente motivato e partecipe.
Lasciando interagire i nostri allievi in maniera non controllata con l’ambiente specifico, favoriremo un flusso di input che genereranno dei momenti di criticità, fondamentali per ridisegnare un nuovo equilibrio, l’apprendimento di nuove competenze e conoscenze raggiunto in maniera consapevole.
Anche noi allenatori, se sceglieremo di utilizzare all’interno del nostro metodo un approccio non lineare, dovremo essere consapevoli che non basterà creare il miglior contesto possibile per i nostri giocatori, ma dovremo essere pronti a perdere il controllo; parlo in primis di esperienze ed errori personali, evitando di voler controllare ciò che si creerà in maniera unica ed irripetibile all’interno del nostro amato rettangolo verde.
La non linearità si sposa con l’idea di apprendimento piuttosto che insegnamento, ecco perché dovremo orientarci verso il saper gestire i processi di apprendimento dei nostri calciatori, piuttosto che dimostrare di saper padroneggiare un contenuto.
La nostra finalità sarà quella di favorire un contesto in cui vi sia la possibilità di fare più esperienze possibili, rispetto al conoscere solamente alcuni aspetti in maniera specifica ed approfondita ma limitata.
Per assurdo, ma non so fino a quanto, utilizzando un approccio non lineare daremo la possibilità ai nostri giocatori di essere essi stessi costruttori attivi di nuova conoscenza.
La prossima volta che entriamo in campo, al posto di ripassare mentalmente solo le proposte della seduta di allenamento, proviamo a domandarci anche cosa faranno i nostri giocatori.