Julio Velasco: “Basta Alibi”
Qualche giorno fa Julio Velasco è stato presentato dalla FIPAV come nuovo direttore tecnico delle nazionali giovanili maschili.
Durante la conferenza stampa, al nuovo Direttore Tecnico è stata posta la seguente domanda: “Come risolviamo il problema dei giocatori giovani che giocano poco“.
“Bisogna stare molto attenti a creare nei giovani l’alibi che il loro problema è che non li facciamo giocare, perché l’assistenzialismo nello sport competitivo non ha mai pagato. La prima cosa è che il giovane si deve guadagnare il diritto di giocare. Guadagnare, non che glielo diamo.
Le giocatrici giovani devono capire che o migliorano molto o non trovano neanche un ingaggio…e così è stato. Dobbiamo dare l’opportunità ma dobbiamo dire te lo devi guadagnare.
Lo sport ha una caratteristica: non è sufficiente fare le cose bene. Non è sufficiente farle nemmeno benissimo. Lo dobbiamo fare meglio degli altri, sennò perdiamo.
Semplice dire “più spazio!”. D’accordo, ci vuole, ma ci vuole anche una mentalità diversa, perché io sento molti giovani dire che va tutto male. Che si lamentano, che guardano sempre quello che non c’è, che manca questo o quello. No, no. Perché se questa mentalità prende quota siamo rovinati”
LE MIE CONSIDERAZIONI
Che Julio Velasco regalasse spesso “perle di saggezza” non lo scopro certamente io oggi. Le sue parole mi danno però modo di fare un tuffo nel passato quando, nel 2016, in un articolo che potete trovare a questo Link, espressi bene o male lo stesso concetto.
E’ un tema che mi sta particolarmente a cuore perché tocca un valore che dovrebbe essere fondamentale non solo nello sport, bensì nella vita: la meritocrazia.
Mi sento un ragazzo che “si è fatto da solo”. I piccoli traguardi che ho raggiunto sono stati sempre figli di una lunga gavetta, di ore e ore di applicazione. Ricordo i rimproveri dei miei genitori quando tornavo a casa da scuola con un richiamo o un brutto voto. Mai ho sentito proferire un’accusa verso i miei professori o i miei insegnanti. “Hai sbagliato, punto”.
Oggi le cose si sono completamente rovesciate. Genitori che affrontano la maestra della scuola primaria perché al figlio è stato dato un 7 piuttosto che un 8. Le note non fanno neppure più effetto, tanto sarà sicuramente colpa del compagno di banco o del “bidello”.
Nello sport le cose non vanno decisamente meglio. “Se non giochi è perché il mister è un pirla” (nelle migliori delle ipotesi), dimenticandosi che lo stesso “pirla” era “il miglior allenatore che mio figlio potesse trovare”, fino a pochi mesi prima, quando per meriti questi veniva sempre schierato.
In pochissimi hanno la lungimiranza di trasmettere ai propri figli “l’arte dell’arrangiarsi“, di farcela anche da soli, senza mamma e papà che ci coprono sempre le spalle. Pretendere. Ecco, forse è questo uno dei mali più grandi della nostra società. Genitori che pretendono di vedere i loro figli quantomeno convocati. Pretendono di vederli giocare. Pretendono che il figlio giochi tutta la partita, e che me ne importa se in panchina è partito un ragazzo che si impegna quanto mio figlio. Tutto è dovuto!
Che ti impegni o no, è un tuo diritto giocare. Io dico, dipende.
La federazione da questo punto di vista sta per me facendo un buco nell’acqua. Regole che obbligano i bambini a prendere parte alla gara. Regole che obbligano le prime squadre a far giocare dal primo minuto diversi giovani fuori quota.
Non voglio assolutamente sostenere che i bambini non dovrebbero prendere parte alla partita. Ritengo però ci sia qualcosa di sbagliato. Fino al secondo anno Esordienti i giocatori devono prendere parte alla gara disputando almeno un tempo di gioco. Questo fino a Giugno. A Settembre, col passaggio nell’attività agonistica, l’obbligo scompare, con la possibilità da parte dell’allenatore di non schierarti nemmeno per un minuto se lo ritiene necessario.
Non pensate che con queste regole possa crearsi una sorta di trauma nel ragazzo? In pochi mesi dovrà passare dall’idea che giocherà sempre e comunque a quella di vedersi relegato per tutta la gara in panchina. Qualcuno sostiene che queste regole servano per allontanare il rischio di abbandono precoce dallo sport, ma c’è qualcosa che non mi torna se consideriamo che in italia il fenomeno del drop-out dall’attività sportiva è piuttosto elevato; sintomo che nel nostro paese c’è qualcosa che non funziona.
C’è dannatamente qualcosa che non va nel nostro sistema, ma la colpa, ancora una volta, è solamente nostra.

È stato commissario tecnico della Nazionale italiana di pallavolo maschile dal 1989 al 1996, e della Nazionale italiana femminile dal 1997 al 1998. È noto per aver ottenuto grandi successi nei primi anni 1990, con quella che è stata chiamata la generazione di fenomeni.
CITAZIONI FAMOSE JULIO VELASCO
- «Non riuscire a superare le difficoltà porta alla cultura degli alibi, cioè il tentativo di attribuire un nostro fallimento a qualcosa che non dipende da noi. Ho conosciuto centinaia di atleti. Alcuni vincenti, altri perdenti. La differenza? I vincenti trovano soluzioni. I perdenti cercano alibi».
- «L’attaccante schiaccia fuori perché la palla non è alzata bene. A sua volta l’alzatore non è stato preciso per colpa della ricezione. A questo punto i ricettori si girano a guardare su chi scaricare la responsabilità. Ma non possono chiedere all’avversario di battere facile, di modo da ricevere bene. Così dicono di esser stati accecati dal faretto sul soffitto, collocato dall’elettricista in un punto sbagliato. In pratica, se perdiamo è colpa dell’elettricista».
- «Sono orgoglioso della squadra che ha vinto Mondiali ed Europei, ma sono altrettanto orgoglioso della squadra che ha perso le Olimpiadi di Barcellona. Per un motivo: perché abbiamo saputo perdere. Non abbiamo dato la colpa a un qualche fattore esterno. Abbiamo riconosciuto che l’avversario era stato più bravo di noi, punto e basta».
- «Ai giovani io dico: voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a chi dice che il mondo si divide in vincenti e perdenti.Io credo che il mondo si divida soprattutto tra brave e cattive persone. Poi tra le cattive persone ci sono anche dei vincenti, purtroppo. E tra le brave persone ci sono, purtroppo, anche dei perdenti».
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