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“FootSofia”: Asino chi non perde palla

21 Maggio 2020

“FootSofia”: Asino chi non perde palla – Eurustica e metaeuristica della scelta

Il tema della scelta è oggi mainstream. Un calciatore, in un contesto di gioco, deve continuamente compiere delle scelte (si parla anche di giocatore scegliente), sulla cui qualità noi ci concentriamo come allenatori.  

D’accordo, ma amo i paradossi e credo che per apprezzare la forza di un flusso di pensiero bisogna provare a saggiarne la contro-corrente (upstream).  

Per esempio, la scelta efficace di un giocatore è sempre formativa? Perdere appositamente palla può essere una scelta efficace? Attenzione, non intendo il fatto di perdere palla come scelta di un male minore (la butto o la do agli avversari perché sono in situazione di rischio, di pericolo), ma come tentativo di ottenere un bene maggiore. Paradossale? Forse si, ma per alcuni allenatori è una strategia studiata e allenata: non è un caso che alcune squadre, per esempio quelle di Roger Schmidt, forzino la giocata verticale quasi perdendo appositamente palla per poi attuare il gegenpressing cercando quindi un recupero in circostanza-zona pericolosa per l’avversario. Queste contro-scelte hanno uno sfondo teorico molto interessante, e, a mio parere, estremamente fecondo a livello metodologico e pedagogico.  

Vediamo. Partiamo, manco a dirlo, da un paradosso.   

L’Asino di Buridano, o paradosso dell’asino, è una vecchia storiella. Viene attribuita al filosofo francese Jean Buridan, vissuto nel Medioevo, e racconta sostanzialmente dell’empasse in cui incappò un asinello posto di fronte alla scelta tra un secchio pieno di avena da un lato, ed un secchio pieno d’acqua dall’altro (secondo altre versioni entrambi i recipienti erano pieni di biada). I due secchi erano equidistanti rispetto all’animale ed egli, avendo voglia di entrambi e non sapendo al contempo per cosa propendere, rimase immobile senza scegliere. La storia finisce tragicamente perché la mancata decisione portò l’animale a morire di stenti. Ora, al di là dell’epilogo, credo che la storiella ci possa essere utile per ragionare su alcuni aspetti della scelta.

Fissiamo un primo punto: sicuramente una decisione casuale, piuttosto che nessuna, avrebbe salvato lo sventurato. Una empasse, un blocco, una stasi, può essere allora tolta, sciolta dall’introduzione di caos, rumore. Teniamolo presente.

A differenza del povero asinello, comunque, raramente capita che le alternative delle nostre scelte siano equidistanti, nel senso di avere una pari valenza, pari valore: certo, la ragione ci può far scervellare nella ricerca di capire quale sia l’opzione migliore da diversi punti di vista e questo ci può mettere a volte più blocchi e dubbi di prima, però spesso nella sfera emotiva, nella pancia per così dire, abbiamo già una propensione, una inclinazione (anche se inconsapevole) verso l’una piuttosto che l’altra/e (con questo non è detto ne che quella sia la scelta migliore, ne che a ragione noi non possiamo scegliere poi effettivamente altre alternative).

Credo che allo stesso modo ogni calciatore in una situazione di gioco abbia “nella pancia” una tendenza a esprimersi in un range di scelte che lo caratterizzano, che lui preferisce istintivamente. E che esprimono il suo senso del gioco. Frutto di inclinazione naturale, di apprendimento, di “istruzioni” o interiorizzazioni precedenti…qualsiasi cosa. L’importante è che questa spontaneità pre-logica (spesso pre-consapevole, si veda l’articolo sul tempo) e peculiare di ognuno, evita di farlo incorrere nel paradosso dell’asino (e di non fare, metaforicamente, la sua fine!).

Tuttavia le scelte proprie e “naturali” del giovane calciatore sono spesso indecise (bloccate) o infruttuose, inefficaci nel gioco. Credo che il primo compito di un allenatore non sia allora quello di guidare quelle scelte (o scegliere al posto del giocatore), ma di accompagnarlo in un processo di scoperta. Euristica (dal greco “trovare, scoprire”) un percorso non rigoroso che consente provando e sperimentandosi nel gioco di arrivare ad una soluzione pratica dei problemi. E quindi di apprendere. Allenare il giocatore scegliente, che scopre nel gioco quelle che sono le soluzioni per lui più efficaci.

È sufficiente? Paradossalmente credo di no. Ed è qui che casca l’asino (scusate!). Prendo a prestito un’analogia matematica ed informatica.

In queste discipline, un ottimo locale è una soluzione ottimale ma all’interno di un set, di un range, limitrofo di soluzioni. Un ottimo globale invece è una soluzione ottimale tra tutte le soluzioni possibili, non solo all’interno di una particolare zona.

Ora, fuori dall’analogia, un giocatore può esprimersi sempre benissimo “localmente” all’interno del suo range di soluzioni. Ma questo può causare una empasse o una difficoltà globale alla squadra. Degli esempi banali: soluzione più efficace per uscire da una situazione locale che però porta la palla in una zona che diventa soggetta alla pressione avversaria, quindi globalmente non ottimale. Oppure difensivamente, indirizzo l’avversario verso il mio lato forte e suo piede debole (localmente bene!), ma dalla parte in cui i compagni della mia linea difensiva sono più sbilanciati (globalmente male!).

Non vediamolo però solo dalla prospettiva individuale-collettivo, ma anche in ottica, per esempio, di apprendimento e miglioramento del singolo calciatore: se un giocatore è sempre bravissimo ed efficace nel suo range di scelte (sbaglia poco o quasi mai), quella zona per lui ottimale rischia di diventare col tempo stasi (zona di confort), la curva di apprendimento si appiattisce. O mettiamoci nella prospettiva di una squadra, fenomenale nella gestione del possesso (ottimo locale), vulnerabile appena perde palla nelle altre fasi (ottimo globale).

Credo allora che l’euristica debba essere accompagnata da una meta-euristica. Non solo scoperta delle scelte migliori, ma anche apertura di queste scelte ad un orizzonte più ampio, ad uno sguardo più ampio. Consapevolezza dell’inesauribilità e delle non-definitività di ogni scelta.  Partire allora dalle soluzioni vicine (ottimo locale) e sfruttarle per esplorare l’intero spazio delle soluzioni (ottimo globale). Ognuno riempia questo assunto con degli esempi che gli sono cari: contestualizzare le abilità di scelta del singolo (locale) in una zona di campo dove possano favorire e migliorare i compagni (globale), prendere i propri principi di gioco (locale) e svilupparli perché siano flessibili, duttili, adattabili alle diverse tipologie di avversario (globale) ecc.

Il fatto importante da sottolineare è che nello sviluppo complesso del gioco locale e globale non sono due cose separate e scisse: ciò che avviene localmente influenza ciò che avviene globalmente e viceversa. Le scelte del singolo condizionano e sono condizionate dal resto delle interazioni dei compagni (e avversari) vicini e lontani, le scelte che facciamo in fase di  possesso condizionano e vengono condizionate dal resto delle altre fasi, i nostri principi condizionano e vengono condizionati dalle disposizioni avversarie ecc.

A partire da qui, capiamo anche il valore delle contro-scelte, cioè quelle scelte dove si accetta, si tollera, anche una minore ottimizzazione locale perché questa può far guadagnare migliori soluzioni globali. Dove si favorisce il rumore locale perché possa condurre ad un adattamento globale!

Ricordate l’asino? Due secchi, due ottime soluzioni, ma devo lasciarne perdere una. Meglio il caos, il rumore, che il blocco. È necessario a volte mettere perturbazioni, difficoltà, rumore per superare l’empasse dell’ottimo locale e aprirsi a una ottimizzazione globale.

Concretamente, meglio forzare le scelte che rimanere vincolati alle solite (quando queste non portano da nessuna parte). Meglio aggiungere delle perturbazioni, difficoltà, alle scelte sempre efficaci del nostro giocatore per fargli esplorare diverse prospettive e far ripartire la curva di apprendimento. Favorire gli errori per stimolare gli adattamenti.

Ecco allora che, per tornare al punto di partenza, nonostante si possano preferire soluzioni vicine (scelte) migliori, si accettano anche quelle “peggiori” (contro-scelte) per non rimanere bloccati e avventurarsi a esplorare il gioco: perdere anche palla – avere il coraggio di perdere anche palla – per andare tutti insieme a riprenderla. Insomma, asino chi non ha il coraggio di perdere palla!     

 

 

Foto: https://www.agenziacomunica.net

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