“FootSofia”: Dentro le Scelte – I marcatori somatici nella presa di decisione
Mi sono smarcato alla grande e ora ho spazio libero intorno a me. Sono pronto per ricevere il passaggio di Gio. É un controllo facile. Un paio di anni fa, si giocava contro una squadra professionistica e io volevo trascinare i miei compagni e mettermi in luce, lo desideravo ardentemente – ricordo che dormì poco la notte e a stento feci colazione – sbagliai un controllo facile davanti al portiere, era un goal praticamente già fatto. Potevamo andare in vantaggio e ho buttato tutto al vento… Ecco il passaggio. Mi irrigidisco un poco, ho come fissa quella vecchia immagine. Spero che il controllo vada bene. Mi entra, meno male. Gio si fida di me, mi ha dato una bella palla. Ora devo scegliere, c’è Alex che si muove dietro la linea avversaria e Jack invece comodo alla mia destra. Rischio o scarico? Salto la linea e vado da Alex o gioco sicuro con Jack. Jack però ha una personalità forte, a tratti schiacciante, tende a rimproverare spesso i compagni nell’errore, me compreso, con Alex ho un rapporto bellissimo in spogliatoio e fuori dal campo. Il mister in allenamento vuole un gioco verticale, ma si incazza se sbagliamo con una scelta facile a disposizione. Che fare? Vado su Jack…
Quando facciamo un qualsiasi gesto tecnico, come un controllo, o compiamo una scelta di gioco, come un passaggio, entra sempre in campo anche un retroterra emotivo, di cui possiamo essere o meno consapevoli. Certamente sul momento non ne siamo consci: esso NON avviene nel flusso di pensieri espressi sopra (che ha solo funzione narrativa), ma in maniera diretta, automatica, immediata. Eppure ciò non significa che quel flusso non ci sia. Solo che il nostro cervello è un organo talmente complesso e straordinario che lo fa avvenire in un batter di ciglia. Come avviene la presa di decisione e come interviene la relazione socio affettiva nella decisione?
La neurobiologia ci dice che delle esperienze che facciamo il cervello di volta in volta archivia i dati relativi alla situazione in cui siamo stati, l’opzione o le opzioni scelte per risolverla, l’esito che quelle scelte hanno avuto, non solo in termini di puro RISULTATO della scelta anche in termini di EMOZIONI e SENTIMENTI (approvazione, vergogna, orgoglio…) che la accompagnano. Classifichiamo insomma scenari, componenti, scelte, significati personali delle situazioni sperimentate (inoltre, i significati rimangono collegati ai dispositivi cerebrali usati per l’induzione delle emozioni). Questo bagaglio va ad accumulare una sorta di memoria emotiva di cui poi ci serviamo nelle nuove decisioni che occorrono.
Il cervello, infatti, quando deve prendere una nuova decisione, può agire su un piano conscio (valutazione ragionata delle alternative, calcolo del rischio, rappresentazione riflessiva della situazione…) o su un piano inconscio. Il più delle volte, come in una situazione di gioco, accade questa seconda alternativa che fa risparmiare tempo ed energia (economia neurologica). Ma in entrambe le modalità il richiamo emozionale è importante: le emozioni/sentimenti fungono in questo senso da segnale, marcano, sottolineano, danno una valenza (positiva o negativa) ad alcune opzioni piuttosto che ad altre, inibendo o stimolando una risposta o restringendo i tempi della decisione confrontandola, per esempio, a situazioni passate (il neuroscienziato Antonio Damasio chiama questi segnali Marcatori Somatici, perché essi riguardano in ultima istanza il corpo, soma).
In termini concreti, quando il protagonista del nostro racconto iniziale deve compiere la scelta del passaggio (facile in scarico o rischioso dietro la linea avversaria), il legame emotivo col mister, ad esempio, fa tutta la differenza del mondo. Una condanna della giocata verticale in allenamento, per ipotesi, avrebbe potuto contribuire ad una memoria emotiva in grado di inibire immediatamente (con un segnale emotivo o marcatore somatico) quella scelta in contesto gara. È come se, in parte e in modo figurato, anche il mister fosse in campo perché il rapporto emotivo relazionale tra i due entra in quella decisione (cosi come è in campo parzialmente anche il genitore, anche se non lo è: le aspettative, la pressione, la serenità, il conflitto col mister ecc.; e ancora, il rapporto con i compagni, la pressione della gara ecc. Tutte le esperienze emotive che si fanno potrebbero fungere da segnali che influenzano le decisioni di gioco). In maniera complessa certo, non in rapporto di causalità lineare. I segnali emotivi a volte possono essere forti ed espliciti, ma il più delle volte agiscono sottilmente, al riparo dalla coscienza e senza che l’individuo ne abbia cognizione (tuttalpiù può avere un presentimento della sua scelta).
In una situazione di gioco il cervello simula (opera “come se….”), valuta, marca continuamente diverse possibilità, e si prepara ad agire ben prima che il soggetto ne diventi consapevole: gli studi sui neuroni specchio, ad esempio, mostrano che le aree motorie non hanno mera funzione esecutiva, ma sono già attive nel mentre si partecipa o si osserva una situazione: mentre siamo immersi nella situazione, cioè, mentre percepiamo, una serie di informazioni vengono integrate (tra le varie aree del cervello) e ci dispongono già all’azione. Grazie ai Neuroni Specchio siamo in grado di leggere immediatamente il significato delle azioni altrui, ma anche l’intenzione con la quale vengono fatte. Ecco perché, quando in un contesto di partita il cervello ri-conosce una situazione già nota, esso è in grado di valutare prima le opzioni e agire più velocemente. Di qui l’importanza dell’allenare situazioni che “rispecchino” quello che poi si vuol far riconoscere in gara. E di farlo non tanto in maniera schematica, ma stimolando l’intenzionalità e il senso di quello che si vuole ottenere.
I neuroni specchio, oltre a ciò, influenzano però anche risposte emotive: il sorriso è contagioso si dice, vedere qualcuno che sorride induce a fare altrettanto, e provoca stati d’animo ed emozioni positive. E cosi accade per altri comportamenti: il cervello, mentre è immerso nella situazione, non solo simula diverse modalità di azione e di risposta, ma accompagna queste ad un corredato emotivo che anzi può avvantaggiare o inibire la scelta di risposta. Questo cosa significa?
Nel processo di formazione non è solo importante allenare le situazioni di gioco, ma lo è, forse di più, cercare di imprimervi anche un connotato emotivo positivo. Forse non farà effetto, perché anche la memoria emotiva è talmente complessa che non si è in grado di rilevare rapporti di dipendenza diretta tra cause e conseguenza. Ma forse potremmo anche contribuire a sedimentare quel marcatore somatico in grado di influenzare una scelta decisiva in gara.
Il mister in allenamento vuole un gioco verticale, si esalta e si entusiasma quando ci proviamo. Che fare? Vado su Alex…
Una nota a margine: quando si pone la sfera psicologia o motivazionale SOLO A FIANCO di quella tecnica, tattica e motoria, si dimentica che in ogni situazione il nostro organismo è in una interazione completa, che comprenderà interazioni con il gioco di tipo visivo, uditivo, tattile, motorio ecc. Ma anche emozionale. I movimenti del corpo, le movenze tecniche, le scelte tattiche sono SEMPRE intrise di emotività, e questa le influenza fortemente.
Foto: https://www.stateofmind.it