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“FootSofia”: Differenziare le prospettive – il differential learning della partecipazione

18 Marzo 2021

“FootSofia”: Differenziare le prospettive – il differential learning della partecipazione

È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva. Anche se può sembrarvi sciocco o assurdo, ci dovete provare.

Dal film “L’attimo fuggente”

Il primo giorno di allenamento faccio giocare e osservo. Lo diciamo in molti, dal contributo dell’osservazione si ricavano infatti molte informazioni fondamentali sul gruppo di giocatori: le caratteristiche tecniche, la personalità, la predisposizione alla relazione, la velocità di lettura e di scelta ecc. Ma quando osservo, che cosa esattamente sto osservando? Il filosofo Karl Popper durante una conferenza fa un esperimento con il pubblico dimostrando come nessuna osservazione sia in realtà neutra, ma sempre “filtrata” dagli assunti che portiamo con noi. L’osservazione, insomma, non sarebbe una tabula rasa, bensì sarebbe condizionata dalle aspettazioni, dalle ipotesi, dai modelli e dalle teorie che ci portiamo dietro.

Il mio esperimento consiste nel chiedervi di osservare, qui ed ora. Spero che voi tutti stiate cooperando, ed osserviate! Ma temo che qualcuno di voi, invece di osservare, provi il forte impulso a chiedermi: “Che cosa vuoi che osservi?”.

Se questa è la vostra risposta, allora il mio esperimento è riuscito. Infatti, quello che sto tentando di mettere in chiaro è che, allo scopo di osservare, dobbiamo avere in mente una questione ben definita, che possiamo essere in grado di decidere mediante l’osservazione.”

Insomma, ogni osservazione trascina a monte con sé il filtro di che cosa voglio osservare (l’estro tecnico? La scelta veloce? La disposizione e lo scaglionamento? Le difficoltà più rilevanti? Se e come i giocatori si esprimono liberamente?). Potremmo allora dire che osservare sia sempre in qualche modo una forma di partecipazione. L’osservazione – come suggerisce l’antropologo Malinowsky – è sempre partecipante. Sto partecipando e, in un certo senso, sto comunicando qualcosa (non si può non comunicare, siamo sempre in comunicazione è il primo assioma della scuola di Palo Alto che ha riflettuto profondamente sui temi della comunicazione nel volume “Pragmatica della comunicazione umana”) anche mentre mi dispongo a bordo del campo, o più defilato, senza intervenire direttamente. Questo avviene perché la comunicazione può essere non solo verbale, ma soprattutto paraverbale (il tono, il volume, il ritmo, la coloritura delle parole) e non verbale (la postura, i movimenti, il linguaggio del corpo).

L’incidenza di tutto ciò che non è direttamente verbale è preponderante nella ricezione del messaggio. Osservare allora è già partecipare, perché in un certo senso la sola presenza dell’allenatore – durante una seduta di allenamento, un’esercitazione, una partita – e il modo in cui si manifesta questa presenza, esplicitamente o implicitamente, involontariamente o intenzionalmente, sono già delle forme di comunicazione. La questione allora non è tanto “osservo”, ma “che cosa sto osservando?”, non “partecipo”, ma “in che modo voglio partecipare?” e che cosa voglio comunicare con la mia modalità di partecipazione. È cioè imprescindibile una metariflessione sul proprio modo di osservare e partecipare.

Se in qualche misura siamo sempre “dentro” alla squadra già solo con la presenza, la questione diventa allora la prospettiva che assumiamo dall’interno del sistema di relazioni che si instaura col gruppo in ogni gioco. La prospettiva ferma e centrale rispetto al campo e a lato dell’esercitazione, comporta una certa modalità di osservazione (vedrò delle cose meglio di altre) e di partecipazione, quella all’interno del gioco mentre mi muovo con i ragazzi, è un’altra prospettiva che mi farà vedere meglio dei gesti piuttosto che altri ed eventualmente mi farà meglio incidere su degli aspetti (anche indirettamente) piuttosto che su altri. La prospettiva dietro la porta implicherà altre forme di osservazione e partecipazione, ecc.

Ognuno di noi ha una modalità propria di osservare e partecipare, ma non dimentichiamo che la decisione prospettica che assumiamo influenzerà il come vediamo il gioco. Non esiste mai la neutra realtà del gioco, ma il gioco secondo noi, come noi lo vediamo. Colorato sempre dei propri filtri che sono a monte di ogni osservazione; filtrato sempre dalla prospettiva che assumiamo in campo.

Quando rivedo il gioco attraverso il filmato fatto, è una realtà diversa (a volte anche profondamente diversa) da quella che ho vissuto direttamente: cambia l’impatto emozionale, cambia l’imput con cui mi metto a ricercare qualcosa, cambia la prospettiva dello sguardo, cambia il contesto ambientale, cambiano le circostanze pregresse (es: l’esercitazione precedente) che in quella seduta o in quel gioco mi hanno spinto a vedere le cose in un modo piuttosto che in un altro, ecc. Per inciso, anche la prospettiva della ripresa filmata è ovviamente un’immagine diversa del gioco (ripresa aerea, laterale schiacciata, laterale rialzata, in prima persona con action-cam, ecc.)

Quando discuto del gioco con i miei collaboratori o con i colleghi, stiamo vedendo cose diverse. Insomma, il gioco non ha verità intesa come un fatto, ma è un prisma di prospettive diverse. Dobbiamo imparare a interpretare, cioè ad agire con e sulle prospettive, come direbbe Nietzsche:

“Ogni centro di forza ha per tutto il resto la sua prospettiva, cioè la sua affatto determinata scala di valori, il suo tipo di azione, il suo tipo di resistenza. Il «mondo dell’apparenza» si riduce pertanto a un modo specifico di agire sul mondo, che muove da un centro. Ma non c’è nessun’altra azione, e il «mondo» è solo una parola per il gioco complessivo di queste azioni”.

Il mondo del gioco è il prisma complessivo delle diverse prospettive, delle nostre azioni concrete, perché come abbiamo visto, ogni osservazione è in realtà una partecipazione, cioè un agire sul mondo.

Per questo dobbiamo imparare il più possibile a differenziare le nostre visioni di gioco, cioè a cambiare continuamente prospettiva. Differenziare le nostre vedute (metterle in discussione) vuol dire anche differire la nostra forma di partecipazione, cioè il nostro agire sul gioco: imparare a osservare e partecipare al gioco da diversi snodi prospettici.

L’allenamento differenziale non riguarda solo il gruppo di giocatori, ma anche la presenza che con quel gruppo di giocatori fa sistema, cioè l’allenatore. Senza prospettiva non c’è d’altra parte cambiamento.

Il senso originario della parola rivoluzione è girare intorno al mondo (il moto di rivoluzione della terra intorno al sole): per guardare alla realtà del gioco e averne una veduta più ampia e magari diversa non possiamo fare a meno che girarci attorno, cioè guardare al gioco da diverse prospettive.

 

Foto: https://www.bbc.com/sport/football

 

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