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“FootSofia”: Sviluppare con il terzo uomo. Analisi di un’esercitazione

11 Agosto 2021

“FootSofia”: Sviluppare con il terzo uomo. Analisi di un’esercitazione

“Tutti gli allenatori sono ladri di idee. Idee che poi adotterai alla tua realtà. Alla fine si tratta di dare il tuo tocco personale a tutto ciò che hai imparato e stai imparando”.

Julen Lopetegui

Rubare un’idea

Nella seconda parte dell’ultima stagione (2020/21), diciamo da gennaio/febbraio in avanti, abbiamo proposto una serie di esercitazioni che potessero coinvolgere il concetto di terzo uomo. Il tentativo era quello di usare il terzo uomo come mezzo/strumento all’interno di principi (es: uscire da una zona di densità verso un cosiddetto lato debole), di una sotto-fase di gioco (es: costruire o sviluppare o consolidare usando il terzo uomo), di un obbiettivo (es: conclusione dopo combinazione con terzo uomo) ecc.

Definirei quindi il terzo uomo non tanto un principio o una finalità in se stessa, ma uno strumento, un mezzo in vista di qualcos’altro, che può facilitare la riuscita di un aspetto del gioco. Pensiamo ad esempio ad una costruzione sotto forte pressione avversaria, magari in situazione di parità numerica. Molte linee di passaggio potrebbero essere ostruite. Come dice Bielsa può diventare allora fondamentale per un giocatore la cui possibilità di ricevere palla è ostruita dall’avversario, liberarsi e offrire soluzione non tanto rispetto al compagno che ha la palla, ma al compagno che la sta ricevendo: in questo caso, infatti, per il compagno che sta ricevendo, sapere di avere un “terzo” compagno di squadra immediatamente a disposizione permette di velocizzare, se vogliamo di “anticipare” la scelta e quindi fluidificare lo sviluppo del gioco [*la capacità di anticipare gli sviluppi di gioco, prima che i compagni ricevano palla, può condurre al di là del terzo, al quarto, al quinto uomo ecc; sono le trame fitte di interazioni e sincronismi perfetti], uscendo anche da situazioni complicate aggirando ostruzioni di linee o marcature strette.

Adattarla

In questo caso abbiamo provato a inserire il concetto di terzo uomo non in una fase di costruzione del gioco, che viene lasciata in ampia superiorità numerica, o sulle catene esterne (pratica molto amata dallo stesso Bielsa), ma in una fase di sviluppo, o meglio di collegamento tra la palla libera creata in costruzione e la possibilità di finalizzazione: il terzo uomo era insomma il mezzo di trade-union tra un aspetto costruttivo del gioco e un aspetto di finalizzazione; esso voleva essere lo strumento per trasferire una superiorità numerica guadagnata da una palla libera nella propria metà campo (costruzione) nell’altra metà campo, inizialmente caratterizzata da situazione di parità numerica e marcatura, in vista di una possibile finalizzazione.

Ancora più nello specifico, lo strumento terzo-uomo voleva in questo caso essere di supporto ad una giocata verticale sui giocatori avanzati, ipoteticamente, trequartisti e attaccanti marcati o con linee di passaggio ostruite: offrire immediatamente soluzione all’attaccante che sta ricevendo la verticalizzazione. Come? Con un movimento di supporto/sostegno o con un inserimento.

Contestualizzarla alla propria realtà

La proposta si inserisce all’interno di un periodo di apprendimento di un concetto non immediato e scontato, che implica relazione, sincronismi e conoscenza profonda tra i ragazzi. La proposta, quindi, oltre ad essere il seguito di una serie di altre proposte spalmate su qualche mese, prima di avere un obbiettivo di sviluppo del gioco, voleva per cosi dire proseguire su una linea di consolidamento di competenze relazionali: il concetto di terzo uomo era cioè funzionale non tanto allo sviluppo “tattico” (obbiettivo sempre secondario), ma al saper relazionarsi e collaborare con i compagni in termini di timing, supporto, contatto visivo e non, previsione della giocata del compagno; obiettivi su cui ci siamo concentrati in quella parte della stagione. Qualsiasi esercitazione staccata dal contesto e dal processo, dall’adattamento alla propria realtà e al proprio progetto/tocco personale, non ha senso.

Personalizzarla

Forme: il link allo sviluppo del gioco viene offerto all’interno di una figura esagonale. Questo perché l’esagono offre le possibilità che la salita della palla dopo la costruzione possa avvenire con una palla verticale oppure con una linea di passaggio diagonale (ancor meglio). Il “castello” ad esagono ha porte di entrata e di uscita sulle verticali e sulle diagonali e questo invita, o dovrebbe invitare, a favorire certe giocate e movimenti.

Colori: i play hanno casacche di colore diverso (giallo e arancione) rispetto al proprio team, per distinguersi soprattutto rispetto alle funzioni difensive: intercettare linee di passaggio all’interno dell’esagono e non marcare (la richiesta per i giocatori attaccanti era di muoversi alle spalle del giocatore con la casacca di colore diverso);

Vincoli induttori (key task constraints): in questo tipo di esercitazione il vincolo è mediamente forte: trova tu il come andare di là (inserimento, combinazione rapida, palla avanti palla dietro palla dentro ecc.), ma fallo con una giocata sul terzo. Allora la domanda è d’obbligo: perché alla creazione di una palla libera in costruzione non si conduce direttamente palla nell’altra metà campo? Perché, diciamo, le due metà campo sono separate da un esagono che le divide e per cui è necessario passarvi attraverso “forzatamente” con una giocata sul terzo uomo? Un vincolo induttore deve aumentare (indurre) la possibilità  di ripetizione di un gesto o di un comportamento, ricercato perché correlato e funzionale ad una situazione reale di gara. Anche se il vincolo a volte, come nel presente caso, forza una soluzione rispetto ad una situazione reale. Nel trasferimento dall’esercitazione al gioco reale bisognerà allora eventualmente ricollocare il gesto/comportamento nella giusta dimensione di funzionalità/efficacia.

Imparare dalla pratica

Emergenze: a meno che una esercitazione non sia eterodiretta, schematica, strettamente vincolante, meccanica (e la domanda andrebbe sempre posta: i vincoli, le regole, o la stessa conduzione della seduta, erano eccessivamente forti?) essa farà emergere aspetti e comportamenti diversi da quanto previsto.

Credo che dovremmo essere dei creatori di contesti che poi osservano le decisioni, i gesti, i comportamenti che emergono in quell’ambiente di gioco, a volte lasciandosi stupire e meravigliare dagli “imprevisti”; ma soprattutto cogliendo le indicazioni che il gioco ci dà.

Un’esercitazione che poteva avere una direzionalità – consolidare competenze relazionali e far seguire alla palla verticale una giocata sul terzo uomo – può offrirci altre direzioni di lavoro: perché alcune posture e controlli sono eccessivamente “dorsali”? Come offrire passaggi alle spalle della linea avversaria e non sempre davanti? Possono avvenire rotazioni, interscambi, posizionamenti preventivi nei trequartisti e attaccanti? Come difendere sul terzo uomo? L’esagono è una figura che funziona?

È sempre la pratica il nostro risconto e non l’esercitazione immaginata o disegnata su foglio o al computer. La re-visione della esercitazione è necessaria, la ripetizione no. La rifarei allo stesso modo? No, almeno non negli stessi termini; non siamo gli stessi della settimana scorsa, e nemmeno il contesto lo é. Figuriamoci dopo tempo, figuriamoci addirittura con gruppi diversi.

Citando Eraclito, non ci si bagna due volte nello stesso fiume, allo stesso modo non ci si immerge mai due volte nella stessa esercitazione. Però ogni bagno è una esperienza da cui possiamo imparare.

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