Super Tele: Valerij Lobanovski e il Calcio del Ventunesimo Secolo
“Il calcio è come un aeroplano. Più aumenta la velocità e più aumenta la resistenza dell’aria. Perciò devi cercare di rendere la testa ancora più aerodinamica.”
Il 1929 è un anno particolarmente studiato sui libri di storia a causa della Grande Depressione che colpì e ammalò l’intero sistema economico e finanziario globale. L’Unione Sovietica fu uno dei pochi Paesi a rimanere immuni alla crisi e nello stesso anno istituì l’obbligo per i suoi contadini di iscriversi ai Kolchoz, le cooperative agricole in cui il lavoro della terra diventava qualcosa di collettivo e comune.
Oltre alla condivisione di macchinari e attrezzi, i contadini disponevano di un appezzamento di terreno ad uso privato ed alcuni capi di bestiame. I prodotti dei Kolchoz venivano ceduti allo Stato, che si garantiva in questo modo prezzi decisamente competitivi.
Di lì a poco tempo, il Partito Comunista darà il via alla collettivizzazione dei terreni che avrà conseguenze drammatiche sulla vita dei villaggi contadini.
È in questi anni, fra il primo e il secondo conflitto mondiale, che Viktor Maslov – nato a Mosca – cresce come calciatore con la maglia della Torpedo Mosca.
Appesi gli scarpini al chiodo, diventa allenatore e con alcune geniali intuizioni rivoluziona per sempre il gioco del calcio.
Secondo Jonathan Wilson, autore della “Piramide Rovesciata” e grande storico dello sport, “Maslov riteneva che attraverso una buona organizzazione di gioco fosse possibile avere la superiorità numerica in ogni parte del campo”. Prendendo spunto dalla pallacanestro, Maslov utilizza un mediano davanti alla difesa che, oltre al compito di “spezzare le onde” avversarie lavorando in fase di interdizione, doveva partecipare all’organizzazione della manovra permettendo agli esterni di spingere e attaccare.
Con Maslov, gli attaccanti laterali del 4-2-4 degli anni Cinquanta, diventano i moderni uomini di fascia capaci di garantire spinta in fase di possesso, aiuto in copertura e capacità di attaccare i mezzi spazi.
La capacità di attaccare con 7 uomini, in un sistema dove erano i due difensori centrali e il mediano a dare equilibrio, permette a Maslov di inventare il pressing moderno.
Per Maslov la palla va riconquistata in avanti, aggredendo l’avversario con un meccanismo collettivo, che permetta di rubare la sfera in zone del campo avanzate.
È con questo tecnico che nasce il calcio moderno, ed è grazie all’avvento del pressing che Maslov diventa un coach moderno, che gestisce allenamenti dall’elevato carico atletico per migliorare l’intensità delle proprie squadre.
I suoi calciatori iniziano ad essere dei veri professionisti, che devono prestare attenzione alle abitudini alimentari e attenersi alle rigorose indicazioni dietetiche del proprio allenatore.
Con Maslov irrompe la marcatura a zona e nella sua squadra le posizioni diventano intercambiabili, fondamenta di quello che gli Olandesi avrebbero successivamente tradotto nella magistrale versione di “Calcio Totale”.
Nella Dinamo Kiev di Maslov gioca anche Valerij Lobanovskyi. Lobanovskyi è una delle stelle della squadra, ma fra i due alcuni screzi incrinano il rapporto e nel 1965 il giocatore ucraino si trasferisce a Odessa per ritirarsi a soli 29 anni e iniziare la carriera di allenatore.
Del Valerij calciatore, negli anni a venire, in merito alle incomprensioni avute con Maslov, lui stesso dirà che “Lobanovskyi non avrebbe potuto giocare nella mia squadra”.
Gli insegnamenti e i principi di Maslov vengono elevati all’ennesima potenza.
Figlio di una famiglia operaia, dopo essersi laureato in Ingegneria diventa Colonnello dell’Armata Rossa. Sin da giocatore è famoso per la sua auto-disciplina ferrea, e in lui il carattere d’acciaio va di pari passo con la fede nell’approccio scientifico al calcio.
Bambino cresciuto negli anni in cui l’Unione Sovietica investe ingenti somme nella ricerca scientifica, culminata nella spedizione spaziale dello Sputnik nel 1957, una volta arrivato sulla panchina della Dinamo Kiev nel 1974 Lobanovskyi ingaggia nello staff lo scienziato Anatoly Zelentsov. Più di lavorare sui principi, Lobanovskyi organizza la propria metodologia in maniera autoritaria, spingendo i propri calciatori a lavorare in maniera ripetitiva e spasmodica su schemi e codifiche di gioco.
Di ripetizione in ripetizione, il suo obiettivo è quello di creare giocatori polifunzionali, capaci di integrarsi in qualsiasi tessera del proprio mosaico.
Il giocatore deve infatti conoscere in anticipo le iniziative da prendere e la squadra deve muoversi in maniera ordinata e organizzata sia in fase di attacco, sia in fase difensiva.
Per riuscirci, insieme a Zelentsov, elabora un modello matematico di gestione degli allenamenti, servendosi – come racconta Sandro Modeo nel suo libro “Il Barça” – essenzialmente di due strumenti: test quantitativi su reattività, resistenza, memoria di posizionamento e coordinazione dell’atleta e soprattutto sulle statistiche di fine partita con uno score di dati individuali e collettivi, anticipando di circa mezzo secolo la rivoluzione della match-analysis cui stiamo assistendo ai giorni nostri.
Laboratorio, scienza e tecnologia si fondono con un’idea di calcio collettiva e solidale, che riprende in toto la fredda e direttiva visione governativa del mondo.
Il calcio è una sfida fra due sottosistemi composti da undici giocatori. Se questi si equivalgono la partita finirà in parità, se l’avversario trova delle contromosse è fondamentale – come in una partita a scacchi – la capacità di adattarsi e riuscire a prevalere.
La forza del collettivo vince sulla somma delle singole forze in campo, la rigorosa applicazione di meccanismi preordinati a velocità impressionanti è la cifra del calcio di Lobanovskyi, dove è necessario forzare l’avversario a commettere errori e soprattutto a trovarsi nelle situazioni di difficoltà in cui la squadra saprà come approfittarne.
Universalità, atletismo e dedizione totale rappresentano i pilastri del calcio di Lobanovskyi, che da c.t. dell’Unione Sovietica negli anni Ottanta riprenderà quasi interamente il blocco della propria Dinamo, sulla cui panchina tornerà nuovamente a sedersi per altre due volte in diversi momenti.
Nonostante il palmares non racconti di Coppe dei Campioni o Mondiali vinti, Valerij Lobanovskyi rimane uno degli allenatori più importanti della storia del calcio, capace di far vedere con decenni di anticipo come sarebbe stato il calcio del ventunesimo secolo.