Perché allenare il dominio aereo del pallone. Considerazioni e proposte
Nell’articolo di oggi ho deciso di raccontare e convogliare varie considerazioni a cui sono giunto su un tema un po’ troppo trascurato: il dominio aereo del pallone. Lo scopo è quello di mettere ordine tra le proprie idee (in tal senso, scrivere è una buona abitudine, provare per credere) e offrire al lettore un punto di vista poco considerato; oltre che diverse proposte operative.
Innanzitutto, definizioni alla mano, per dominio si intende la capacità di saper dominare la palla, di saperla controllare e gestire secondo la propria volontà.
Nel corso della mia carriera da allenatore e soprattutto negli ultimi anni, ho sempre visto dare grande rilevanza al Ball Mastery, ossia, la gestione dell’attrezzo con la palla a terra, ma non altrettanta quando parliamo di dominio aereo.
C’è da dire che il dominio non è un gesto tecnico vero e proprio, come tuttavia in qualche classificazione si può ancora trovare, ma un prerequisito per l’apprendimento della tecnica calcistica. Esso esprime, in una forma primordiale, il livello di destrezza nel rapporto io-palla. Essere in possesso di una buona conoscenza del proprio corpo e delle diverse superfici corporee che possono entrare in contatto con la sfera, agevola il giocatore nel gestire la palla a proprio piacimento. Entrare in confidenza con la palla vuol dire conoscerne le sue caratteristiche, quali ad esempio peso, forma, dimensione, durezza, elasticità e traiettorie.
Da questa breve introduzione è facile intuire come sia dunque riduttivo pensare di allenare il dominio dell’attrezzo solamente considerandolo con la palla a terra, come erroneamente magari si fa quando lo si associa al primo livello della piramide dello sviluppo del giocatore nella metodologia Coerver Coaching. In questo articolo voglio dunque spostare l’attenzione del dominio dell’attrezzo con palla alta.
Il palleggio dirà qualcuno…ma non solo!
Se il palleggio può essere considerato di fatto un modo per allenare il dominio del pallone, occorre tuttavia fare alcune precisazioni.
Innanzitutto, da che età possiamo iniziare ad allenarlo? Personalmente, da ormai qualche anno, con la categoria Pulcini utilizzo il palleggio nei momenti di passaggio da una proposta all’altra. Avendo la sfortuna di non disporre di uno spazio sufficientemente grande per predisporre tutta la seduta in anticipo, a volte mi servono alcuni minuti per passare all’esercitazione successiva. In questo lasso di tempo ai bambini do generalmente due indicazioni (o una o l’altra):
- provate a battere il vostro precedente record di palleggi (se la palla cade il conteggio ricomincia)
- vediamo chi arriva per primo ad una quota prefissata di palleggi (200-300-400, dipende dal tempo che presumo mi serva per ultimare l’esercitazione successiva). Se la palla cade il conteggio continua da dove si era arrivati
Nel caso non si disponga di un pallone ciascuno, un’alternativa può essere quella di palleggiare a coppie, con l’obiettivo di realizzare più scambi possibili.
Rimanendo sul tema del palleggio, uno degli errori che commisi alle mie prime esperienze come allenatore fu quello di allenarlo in forma completamente libera. Sono cresciuto come allenatore in una piccola realtà di quartiere, seguendo l’annata dei 1995 per ben 8 (OTTO) stagioni consecutive (sì, lo so, una cosa assurda), dall’ultimo anno Pulcini fino al primo anno Juniores. Ricordo che durante i quattro anni dagli Esordienti ai Giovanissimi, dedicavo alcuni minuti quasi tutti gli allenamenti al palleggio in forma libera. “Vediamo chi realizza il maggior numero di palleggi in 5 o 10 minuti”. Al termine di quelle stagioni avevo giocatori in grado di realizzare oltre 1000 (MILLE) palleggi senza che la palla cadesse mai per terra ed ero fermamente convinto che quei ragazzi avessero raggiunto una padronanza tecnica considerevole, seppur poi non mi spiegassi numerosi errori in gara. Poi, un fulmine…
Durante la mia ultima stagione con loro cominciai a collaborare col Calcio Padova, seguendo mister Paolo Birra alla guida dell’U14. Tra le idee che gli rubai vi fu quella del nastro elastico: un semplice nastro da sartoria con cui poterci realizzare un’infinità di esercizi. Fu allora che portai quella che mi sembrava essere una banalità nella mia realtà di quartiere, alla guida di quei ragazzi ormai divenuti Juniores, sicuro che non li avrei di certo messi in difficoltà su quel fondamentale che davo ormai per acquisito: il palleggio. Peccato che mi sbagliavo, e non di poco…
Se il palleggio libero, senza nessun vincolo, lascia completamente la possibilità al giocatore di trovare la propria zona comfort, ponendosi nella condizione di eseguirlo a seconda di come ci si trova meglio, l’idea del nastro introduce ad esempio un vincolo differente: l’altezza del palleggio. La totalità di quei giocatori che allenavo si era abituata per anni a palleggiare non oltre l’altezza del proprio bacino e il cominciare a farlo sopra la testa creò moltissimi (per usare un eufemismo) problemi.
Trattandosi di ragazzi tra i 17-18 anni, cominciò a subentrare un aspetto estremamente interessante da osservare: il senso di frustrazione. Arrivati ad un’età in cui erano piuttosto certi di saper palleggiare, il ritrovarsi improvvisamente nella condizione di non esserlo più, creò un senso di frustrazione in diversi di loro. Se alcuni risposero rimboccandosi le maniche, altri si facevano spesso sovrastare dal nervosismo e dalla condizione mentale del: “non ci riesco, non sono capace”. Quest’ultimo aspetto è un fattore che spesso subentra in quasi tutte le varianti che ho utilizzato e proposto negli anni successivi. Nonostante le difficoltà (a seconda del proprio bagaglio tecnico possono essere più o meno evidenti) si tratta di superare un ostacolo che è tanto tecnico quanto mentale; infatti, alcuni ragazzi sembrano rinunciare in partenza, quasi in segno di rassegnazione.
Ciò che ho osservato nelle stagioni successive è che più sono giovani, dai Giovanissimi in giù per intenderci, e più accettano il gusto di sfida, il mettersi alla prova con sé stessi. Più sono grandi, dagli Allievi in su, e più faticano a volerlo vedere come un limite da migliorare.
Non nego che nella categoria Giovanissimi mi è capitato di utilizzare alcuni giochi particolarmente impegnativi proprio con finalità legate alla sfera emotivo-volitiva, e i feedback utilizzati andavano esclusivamente in questa direzione.
Il dominio aereo può diventare un obiettivo che ci giunge in aiuto quando magari le condizioni del terreno di gioco rendono difficoltoso il rotolamento della palla, come nel caso del video qui sopra, realizzato con un U17.
Ricordo che quel giorno, una volta arrivato al campo, lo trovai praticamente allagato e cominciai ad interrogarmi su una soluzione valida in breve tempo. L’idea fu quella di svolgere una prima parte della seduta sulla piastra a lato del campo, utilizzando le scarpe da ginnastica che i ragazzi sapevano di dover portare sempre in borsa per qualsiasi evenienza.
Ne venne fuori un esercizio a stazioni sul dominio aereo in traslocazione, ossia in movimento. Quest’ultimo è un altro aspetto interessante e poco conosciuto. Seppur si potrebbe obiettare che un giocatore raramente avanzerà in palleggio nella gara, è pur vero che prevede una difficoltà superiore rispetto al palleggio sul posto.
A prescindere da quanto appena detto, il dominio aereo può dunque essere un’idea da prendere in considerazione quando le condizioni del terreno di gioco sono particolarmente difficili e, come si vede dal video, può essere eseguito in qualsiasi spazio; anche il parcheggio potrebbe finire per essere un luogo in cui rifugiarsi quando le alternative vengono meno.
Come abbiamo visto dal primo video, il dominio aereo può essere inserito già a partire dall’attività di base, valutando le capacità del gruppo e scegliendo l’esercizio più adatto. Non ne farei infatti una questione di età, bensì di capacità: tecniche e coordinative. Coordinative? Decisamente.
Il dominio aereo non fa (come dicevo in precedenza) riferimento al solo palleggio, bensì a tutta una serie di controlli e appoggi al volo. Pensiamo ad esempio a come si riceve una rimessa laterale, ad un cambio gioco o un lancio, a come si addomestica una seconda palla. Perché poi c’è anche un’altra considerazione da fare in tal senso: un lancio o una rimessa, lo controllo o l’appoggio di prima per un compagno? E qui nascono altri problemi.
Non di rado capita di osservare giocatori che vogliono a tutti i costi giocare al volo di prima intenzione, anche quando magari avrebbero lo spazio a sufficienza per controllare quella palla e girarsi verso la porta avversaria. Alcune scelte in tal senso ho come l’impressione siano a volte figlie dell’insicurezza del giocatore nel controllare e mettere a terra quel pallone, preferendovi quindi una più facile respinta o un appoggio che finisce però a metri di distanza dall’obiettivo.
Una possibilità, come quelle che si vedono nel video precedente e successivo, è poi quella di integrare il dominio aereo con alcuni esercizi coordinativi, creando di fatto delle proposte integrate. Queste potranno essere magari inserite nella fase iniziale della seduta d’allenamento, soprattutto in quei giorni a ridosso della partita precedente (in diversi casi mi è capitato di allenarmi il lunedì).
C’è poi da dire che ogni gruppo ha un suo percorso e ciò che può essere indicato per alcuni, non lo è magari per altri. Per questo ogni programmazione deve sempre tener conto del contesto, osservando di settimana in settimana come e quanto procede l’apprendimento. Ogni squadra risponde agli obiettivi che ci prefiggiamo a modo proprio, sia in termini di tempistiche che a livello emozionale e di coinvolgimento.
Un esempio ne è la mia ultima stagione con la categoria U13 alla guida dei Giovanissimi Professionisti (durante la stagione 2017/2018). Verso fine anno proposi loro un questionario e tra le domande ve n’era una che citava: “cosa ti annoia durante l’allenamento?“.
La maggioranza dei voti indicava proprio il palleggio (nonostante in un anno non fosse mai stato proposto con due esercizi uguali) in ciò che non desiderava trovare nella seduta d’allenamento. Da questa considerazione, nell’annata successiva, alla guida del medesimo gruppo, decisi di metterlo da parte, non potendo non prendere coscienza di quanto avevano manifestato. Due anni dopo invece, alla guida di un U14, decisi di riprendere il dominio verso novembre, a causa di evidenti difficoltà tecniche che si manifestavano con troppa costanza. Seppur venisse proposto in modo molto simile alla squadra precedente, il coinvolgimento vi assicuro era totalmente diverso, decisamente superiore. Per questo è sempre importante valutare chi si ha davanti, evitando pericolosi copia e incolla che nella maggior parte dei casi risultano infruttuosi.
Nonostante sia poi un promotore del preferire il gioco e la sua globalità, ricordiamoci che il ruolo dell’allenatore di settore giovanile ci impone di metterci al servizio dei ragazzi che alleniamo, portandoci a scegliere non solo ciò che piace a noi.
Questo aspetto spesso porta noi allenatori ad alzare “barricate“, boicottando a prescindere mezzi che potrebbero tornare utili per migliorare le lacune dei nostri giocatori. Ne è l’esempio proprio l’esperienza raccontata poco fa.
Lo scorso anno, alla guida della categoria U14, sono partito con l’idea di favorire sempre il gioco ma, giunto a novembre, mi sono accorto che non tutti i giocatori riuscivano a gestirne la sua complessità, sia per difficoltà cognitive (capacità di attenzione, di percezione, di elaborazione e risposta delle informazioni raccolte, ecc.) che tecniche. Per questo ho deciso di abbassare il carico cognitivo dell’intera seduta d’allenamento, focalizzandomi sul migliorare proprio la gestione dell’attrezzo mediante alcuni giochi sotto forma di competizione individuale o a squadre.
La competizione, soprattutto in questo genere di esercizi analitici, risulta a mio avviso fondamentale per non incorrere nella noia e mantenere a discreti livelli la propria motivazione.
Che si tratti di segnare in una porticina, di completare un percorso, di abbattere dei coni o di depositare la palla in un cesto, è importante porre un obiettivo da un lato ambizioso (questo mantiene alto il gusto di sfida) e dall’altro comunque fattibile, in modo da non incorrere in quel senso di frustrazione di cui abbiamo già parlato.
Il perché allenare il dominio aereo, oltre a quanto detto finora (controllare e gestire una palla che arriva con traiettoria alta, padronanza con l’attrezzo, ecc.), è utile anche per imparare a conoscere e leggere le traiettorie del pallone.
Siamo così tanto concentrati a parlare di costruzione dal basso, di possesso palla, di gioco di posizione e di manovra con palla a terra, che a volte ci dimentichiamo che l’avversario che affronteremo non ha firmato nessun accordo per cui dovrà giocare sfruttando le nostre stesse armi.
Succede allora che, dopo una settimana a prepararsi pensando solo a ciò che piace a noi, al primo minuto della partita l’avversario decide di scagliare la palla il più in alto e lunga possibile. Il nostro difensore legge male la traiettoria della palla, la sbuccia o viene completamente scavalcato. Gol. Uno a zero e palla al centro.
La lettura delle traiettorie, che da piccolo personalmente ho allenato con un’infinità di ore dedicate al gioco libero, che esulava tante volte dal gioco del calcio, oggi è un obiettivo tanto trascurato e sottovalutato. Ecco perché, allenare il dominio aereo, con esercizi simili all’ultimo video proposto, in cui la palla arriva calciata a parabola o con una rimessa laterale, può essere un modo per colmare anche queste lacune.
Quanto tempo dedicare al miglioramento di questo “fondamentale” – seppur abbiamo visto non rientri a pieno titoli tra questi – è una scelta che come sempre spetta all’allenatore, valutando il contesto in cui ciascuno di noi opera.
Non bisogna avere il timore o la vergogna di affermare che talvolta, a piccole dosi, la complessità del gioco può anche attendere dieci minuti.
Foto: https://sputniknews.com