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Creatori di metodo

“Creatori di metodo”: Microciclo Estructurado

3 Febbraio 2021

“Creatori di metodo”: Microciclo Estructurado

Crearsi un proprio metodo sta alla base dell’essere allenatore autentico, profondo ed evoluto.
Dobbiamo considerarci come una figura curiosa, rispettosa del passato ma aperta all’innovazione e
in costante sviluppo.

Se è vero che “siamo tutti ladri delle idee altrui”, come sostiene Guardiola, attraverso il viaggio di questa rubrica proveremo a riflettere sugli aspetti caratteristici delle metodologie più affermate, allo scopo di condurre l’allenatore a decidere, in totale autonomia, come rielaborarle ed eventualmente farle proprie, diventando creatori di sé stessi.

Iniziamo il nostro viaggio attraverso le metodologie calcistiche più influenti degli ultimi decenni e cerchiamo qualche spunto all’interno del Microciclo Estructurado.

Questa metodologia nasce e si sviluppa prevalentemente in Spagna grazie al suo inventore, Francisco “Paco” Seirul-lo, preparatore atletico che passa dal mondo dell’atletica leggera a quello del calcio, più precisamente all’ FC Barcellona.

Alla base delle sue idee e delle sue convinzioni c’è l’approccio sistemico al gioco del calcio e soprattutto, grande tratto distintivo di questa metodologia, il giocatore, con i suoi processi decisionali, al centro del tutto.

L’individuo viene considerato come un insieme di sei “strutture” che interagiscono tra loro, che creano sinergie per sviluppare processi adeguati alla complessità del gioco e che vengono influenzate da ciò che accade durante la competizione.

Una struttura a cui voglio far riferimento per sviluppare alcune riflessioni è quella “emotivo – volitiva”, ossia l’insieme delle emozioni che il giocatore prova prima, durante e dopo allenamenti e partite, unite alla volontà con cui si approccia nel vivere le sfide quotidiane che lo sport richiede, sia esse individuali che di squadra.

Quante volte dedichiamo del tempo all’ascolto dei nostri giocatori, per farci raccontare attraverso il loro punto di vista ciò che stanno vivendo come individui e come membri di una squadra? Chiediamo loro di ascoltarsi per capire a fondo quali emozioni provano per poi esternarle senza paura di essere giudicati?

Saper ascoltare ed educare alle emozioni sono comportamenti fondamentali, che stanno alla base della costruzione del nostro metodo; l’aspetto emotivo influenza inevitabilmente tutte le altre strutture dei nostri atleti e di conseguenza il loro modo di approcciarsi al gioco, di viverlo e svilupparlo.

Pensiamo ad un giocatore che entra in campo con consapevolezza di sé e dei sui compagni, coraggioso perché percepisce fiducia e comprensione da parte dell’ambiente; probabilmente riuscirà ad esprimersi al meglio delle sue potenzialità e di questo ne beneficerà, oltre che lui stesso, anche la squadra. Di contro, se un giocatore attraversa un momento in cui ha un calo di autostima, in cui non riesce ad esprimersi come vorrebbe, ma sa che lo aspetta un ambiente in cui può condividere le sue emozioni ed il suo stato d’animo senza il timore d’essere giudicato o accusato di poco impegno, è lecito pensare che ciò lo aiuterà a vivere meglio e presumibilmente a superare quel particolare momento del suo percorso.

Riflettiamo su quanto sia importante mettere il giocatore e quindi la persona al centro del tutto, come il Microciclo Estructurado ci invita a fare. La vera abilità di chi gestisce una squadra sta nel valorizzare ed ottimizzare le qualità e le prestazioni del singolo e di conseguenza quelle di tutto il team.

Un altro aspetto legato a questa “struttura” è la forza di volontà. Siamo noi allenatori i primi a doverla coltivare, allenamento dopo allenamento, assicurandoci che questa si manifesti nei nostri giocatori nel desiderio di approcciarsi sempre al meglio verso tutte le sfaccettature del gioco.

Dobbiamo promuovere l’autostima, la determinazione, la disponibilità al sacrificio, l’umiltà e la perseveranza, per far sì che il giocatore creda nei propri mezzi e si abitui ad utilizzarli costantemente per perseguire e raggiungere gli obiettivi individuali e di squadra.

Se vogliamo che ciò si verifichi, il nostro metodo dovrà prevedere strategie che stimolino in maniera costante questi aspetti. Potremmo sviluppare proposte di allenamento in cui ci sia un forte contenuto competitivo, dove non ci si concentri solamente sulle finalità tecnico-tattiche dell’esercitazione, ma soprattutto sul raggiungimento dell’obiettivo finale e sul premio che questo garantirà. Un altro esempio potrebbe essere quello di mettere in competizione tra loro tutti i giocatori attraverso una classifica mensile, stilata in base ai punteggi individuali guadagnati durante alcune esercitazioni, che stabilirà un premio per il migliore ed una penitenza per il peggiore (il consiglio è di condividere con la squadra tutti gli aspetti che regolano questo tipo di competizione).

“Vincere non è importante ma è l’unica cosa che conta”

Parafrasando la famosa citazione di Boniperti, direi che “Vincere non è l’unica cosa che conta, ma è importante”. Questo messaggio va fatto passare forte e chiaro, soprattutto a livello di settore giovanile: troppe volte noi allenatori – di riflesso anche i nostri giocatori – ci accontentiamo di una “buona prestazione” che però non culmina in una vittoria. In questo modo si potrebbe correre il rischio di innestare nella squadra l’idea che basti sviluppare il tipo di gioco ricercato per sentirsi sereni con la propria coscienza. Si finisce per accontentarsi anche se ciò non porta all’obiettivo principe della sfida, ovvero quello di primeggiare sull’avversario. Probabilmente, quel “quid” che manca per imporsi a tutti gli effetti, è da ricercare in una carenza di forza di volontà che permetta ai ragazzi di esprimersi al meglio delle loro possibilità, andando a ricercare qualità ed energie a volte apparentemente nascoste, soprattutto nei momenti di grande equilibrio o difficoltà.

Ecco perché noi allenatori, oltre ad ideare e proporre mezzi di allenamento adeguati a questa finalità, abbiamo il dovere di far sentire la nostra presenza ai ragazzi. Dobbiamo motivarli attraverso feedback positivi (in pubblico), a volte magari punzecchiarli nell’orgoglio (in privato) per accrescere in loro il senso della sfida e di conseguenza la volontà di esprimersi al massimo per raggiungere gli obiettivi prefissati.

C’è poi un’altra “struttura” che credo valga la pena considerare, in quanto può fornirci ulteriori spunti metodologici: la “creativo-espressiva”, ossia quella riguardante l’ ”io” di ogni singolo giocatore, il suo modo di approcciarsi alle diverse situazioni in funzione dei propri livelli di intraprendenza e creatività, uniti alle esperienze vissute ed alle conoscenze acquisite.

Il nostro metodo dovrebbe prevedere degli “spazi bianchi” da lasciare ai giocatori all’interno del sistema-squadra: saremo noi a stabilire il come ed il quando, in funzione del contesto e delle loro caratteristiche.  Credo tuttavia che debba essere uno degli obiettivi di ogni allenatore quello di rendere via via sempre più autonomi e indipendenti i propri giocatori (anche perché poi in campo ci vanno loro!).

Creiamo un ambiente fluido, in cui ogni giocatore possa esprimere in libertà il suo massimo potenziale.

Proviamo a puntare sulla responsabilità. Lasciamo loro l’onore e l’onere di gestire situazioni, creare soluzioni che siano efficaci e che li aiutino ad esprimersi appieno, che li facciano sentire i veri protagonisti del gioco e della vita della squadra.

Partiamo dal presupposto che è importante dare fiducia (mister) ma è ancora più importante riceverla (giocatori), poiché i processi decisionali sono nelle loro mani e dovranno far sì che questi risultino efficaci. Accettiamo che ogni giocatore si prenda il proprio grado di responsabilità, poiché non sono tutti uguali ed è un aspetto che non dobbiamo mai dimenticare.

All’atto pratico il nostro metodo dovrà prevedere per lo più mezzi di allenamenti snelli, con poche regole e pochi vincoli. Dovremo creare dei contesti entro cui i nostri giocatori si sentano liberi di muoversi, di creare, di sbagliare e riprovare. Il nostro stile di conduzione durante le proposte settimanali dovrà essere più osservativo che direttivo. Dovremo evitare di “entrare” frequentemente nell’ esercitazione attraverso indicazioni e feedback continui. Durante le partite la nostra figura dovrà assumere un ruolo di aiuto e supporto alle scelte dei giocatori piuttosto che quello di comandante che impartisce ordini con l’intento di poter determinare gli eventi del gioco.

Quindi, alla fine di tutto, noi allenatori cosa ci stiamo a fare? Credo che i nostri compiti siano quelli di organizzare, progettare, gestire, motivare, correggere, ma anche ascoltare, accettare, delegare, comprendere e dare fiducia. Hai detto poco…

 

Foto: https://www.efficientfootball.com

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