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Teoria coaching mentale ed emotivo

La resilienza raccontata dagli adolescenti – Episodio 1

27 Luglio 2021

La resilienza raccontata dagli adolescenti

Nell’articolo di oggi il primo episodio di una serie di racconti e storie narrate dagli adolescenti di un istituto superiore. Come docente di scienze motorie e sportive, in una scuola di secondo grado, durante la didattica a distanza ho voluto affrontare con gli studenti alcuni argomenti a me molto cari, quali comunicazione, emozioni e resilienza.

L’intento era quello di riuscire a comprendere come avrebbero reagito su tematiche “delicate” e, quanti di loro, almeno per iscritto, avrebbero avuto la voglia e il coraggio di farsi conoscere. Non vi nego, infatti, che alcuni alunni hanno rifiutato l’invito a raccontare episodi del proprio passato che, per loro stessa ammissione, avrebbero finito per far riaffiorare ricordi troppo dolorosi. Per questo motivo ho deciso di non forzare la mano, lasciando la libertà di accettare o meno l’invito e di descrivere ciò di cui avessero maggiormente voglia di raccontare.

In questo primo episodio leggeremo i pensieri di Ludovica, Ginevra, Alice, Giorgia e Emma (nomi inventati) alunne di quinta superiore.

Il racconto di Ludovica (nome inventato)

Il termine resilienza negli ultimi anni si è ampiamente diffuso nella lingua comune, finendo per venir usato più o meno consapevolmente nei più svariati contesti, fino quasi a indebolirne il suo significato.

Il termine resilienza in fisica, indica la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Analogamente, in ambito psicologico, indica quella capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

Questa definizione però aggiunge una certa ambiguità a questo termine che intende riassumere in sé il concetto di vivere.

Fondamentalmente tutti noi siamo in vita, ma non tutti stanno vivendo: chiudendo gli occhi possiamo percepire il nostro respiro, il nostro corpo e ciò che ci circonda constatando di essere in vita, o meglio, di esistere.

Constatare se si sta vivendo è più complesso.

La differenza tra questi due concetti risiede nell’intenzionalità e quindi di conseguenza nella resilienza.

Vivere davvero implica un atteggiamento attivo nei confronti della propria vita che si manifesta, ad esempio, nella capacità di prendere delle decisioni. Una persona che manca di intenzionalità tenderà a “lasciarsi vivere” facendosi travolgere dalle decisioni imposte da un elemento esterno, come altre persone o circostanze obbligate.

In questa ottica si può anche calare la resilienza: una persona che semplicemente, esiste, può essere abbattuta dalle difficoltà della vita poiché vittima inerme degli eventi, entrando in una pericolosa spirale di sempre più assenza nella propria stessa vita.

Una persona che si scontra con le difficoltà della vita ma riesce comunque a rialzarsi e continuare per la propria strada, presenta quella resilienza alla base del vivere.

Questo esempio però è una visione idealizzata dell’uomo, che questo termine porta con sé.

La resilienza è infatti una capacità che si apprende nel tempo e presenta in alcune persone delle predisposizioni o avversioni ad essa; non rende insensibili e soprattutto è una forza interna che agisce nel tempo attraverso l’intenzionalità, l’accettazione e la crescita.

In classe abbiamo avuto occasione di vedere le testimonianze di resilienza di atleti come Beatrice Vio, Alex Zanardi e Federico Ripani. I loro toccanti racconti hanno in comune la capacità di infondere nell’ascoltatore una nuova forza e fiducia nelle proprie capacità, che nel loro caso non gli ha permesso di arrendersi davanti ai problemi della vita, ma anzi di agire e reagire.

La mia profonda stima va a loro e ai molti altri i quali racconti di resilienza riescono sempre a spiazzarmi con la loro profonda potenza e positività.

Personalmente non saprei se definirmi una persona resiliente, poiché sono convinta che i risultati di un determinato evento si possano vedere e mutare nel corso degli anni; inoltre, essendo la resilienza una capacità, penso sia soggetta alle fasi della vita di una persona e quindi non una costante.

Ammetto di essere una persona che spesso si fa travolgere dagli eventi della vita e negli ultimi anni sto lavorando su quella intenzionalità, fatta di scelte per me stessa e per le mie soddisfazioni e gioie.

Allego una canzone che in molti momenti mi ha ispirata e dato la forza di rimettermi in piedi quando mi sentivo confusa e persa.

Il racconto di Ginevra (nome inventato)

Il termine resilienza non penso mi appartenga e probabilmente non lo comprendo nemmeno appieno. Essere resiliente non è essenzialmente la capacità di un individuo di andare avanti a vivere e non lasciarsi a peso morto in angolo? No?

C’è forse una determinazione ancora più grande di quella di non farsi sopraffare dalla quotidianità?

Per questo non me la sento di collegare esempi banali della mia vita con vere e proprie imprese, come nei racconti presentati nel corso delle sue lezioni.

Se penso alla resilienza mi viene in mente l’immagine di un alpinista che risale una montagna solo con l’ausilio di una corda logora, oppure la frase di Giovannino Guareschi: “Non muoio nemmeno se mi ammazzano”, o la frese celebre di Giacomo Matteotti: ”Uccidete pure  me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai”.

Questo per me va a di là della resilienza. Questa è vera e pulsante bramosia di andare avanti superando la morte e la materialità del corpo. Ben pochi ne sono in grado. Non esiste nessun Steve Jobs o Elon Musk, ma solo inestinguibili fiamme rare che non costruiscono imperi commerciali ma idee stravolgenti e dure come il diamante.

Capacità di amare intensamente qualcuno e qualcosa, di lottare  allo stremo fino anche ad arrivare a sacrificarsi è la più grande forma di rispetto e di riguardo verso sé stessi. Tra coloro che ci sono riusciti cito Janusz Korczak che tra il decidere di salvarsi o di seguire i bambini della sua scuola nelle camere a gas, scelse la seconda senza rimpianto. Altro personaggio che riporto è Cassius Clay, che si oppose a partecipare alla guerra in Vietnam perdendo di conseguenza il titolo mondiale da poco conseguito, oltre che arrestato per retinenza alla leva e all’obbedienza.

Tutti questi personaggi che ho citato hanno dimostrato di avere una volontà di auto affermazione non generata da esigenze iper-auto-esaltative o antisociali.

“ e vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi

Frase di Sant’Agostino, cara a Petrarca.

Il racconto di Alice (nome inventato)

Vi è mai capitato di far cadere un bicchiere e vederlo frantumarsi in mille pezzi a terra? Che avete fatto dopo? Raccolto i pezzi e buttati ovviamente, no? E invece no. Quello che per noi ora è un bicchiere rotto e inutile può evolversi in altro, un sonaglio a vento in vetro ad esempio. Questa per me è resilienza.

Resilienza è il termine usato per definire una persona che nonostante un evento traumatico, riesce a risollevarsi e reinventarsi senza alienare la propria identità; qualcuno che riesce a fare fronte positivo a un periodo di difficoltà e che ci fa pensare stupiti: “come ha fatto?”

Non è facile tirare fuori il meglio di te quando il meglio non sai nemmeno che forma abbia, ma è quello che hanno fatto tutti i protagonisti dei video visti in classe che sono, e saranno sempre, esempi intramontabili a cui ispirarsi nei momenti difficili. Ogni volta, a fine filmato, mi ritrovo a chiedermi dove hanno trovato tutta quella forza che non sembra lontanamente appartenere agli umani, ma che inevitabilmente devono aver scoperto per riuscire a trarre quasi un vantaggio dalla propria situazione.

Ritenendomi una ragazza sportiva, mi sento toccata e commossa dalla storia di Bebe Vio e, nonostante conoscessi già la vicenda, resto sempre ugualmente colpita dalla forza che una ragazzina di 11 anni ha avuto in un momento da cui in pochi sarebbero usciti col sorriso, fiera del modo in cui si è reinventata non rinunciando al suo sogno; diventando in pochissimo tempo campionessa di scherma paraolimpica. Quanta determinazione serve? Che ci sia anche un pizzico di follia?

Personalmente mi ritengo una persona resiliente nel piccolo delle mie difficoltà.

Per fortuna sono circondata da persone che mi vogliono davvero bene e che qualora ce ne fosse bisogno, mi darebbero una mano senza pensarci due volte; so che su di loro posso sempre contare. Penso sia importantissimo dare e avere supporto in una qualsiasi relazione umana, dopotutto l’unione fa la forza no?

A volte però, quando non si ha qualcuno su cui fare affidamento, la forza per rialzarsi bisogna trovarla dentro di sé, a fatica e in profondità, essendo consapevoli che ogni caduta da cui ci siamo rialzati ci ha reso più forti e più noi stessi. Sono profondamente convinta che sia nei tempi delle difficoltà che si possa vedere la vera essenza di una persona.

Sono stata un’atleta agonista di pattinaggio su corsa a livelli discreti. Ho ottenuto i miei riconoscimenti e le mie sconfitte, come in ogni sport. La vittoria più grande che io abbia mai raggiunto è stata tuttavia vedere la faccia della mia allenatrice quando a 10 anni vinsi una gara dopo che mi era stata diagnosticata una malattia respiratoria.

Da quando mi comparve l’asma per lei non ero più nemmeno classificabile come atleta e faceva di tutto per farmi mollare; per questo sono fiera di aver resistito e di essermi presa le mie soddisfazioni senza fermarmi ai suoi “no”.

Sono poi inoltre fiera di aver superato il divorzio dei miei genitori, il gelo creato tra mia sorella e mia mamma, professori terribili, fischi e clacson da qualche maiale per strada e altro ancora.

Ogni giorno ci mette davanti a nuove prove estenuanti e senza pause, che ci fanno paura, ci abbattono e ci fanno dubitare di noi, ma che puntualmente superiamo solo per trovare uno scoglio più grande ad attenderci. Ma non è un problema. Perché alla fine il vero problema non è il problema in sé, ma come lo si affronta.

Il racconto di Giorgia (nome inventato)

Trovo che ognuno di noi sia dotato della capacità di reagire di fronte alle difficoltà e che questo sentimento emerga nel momento del bisogno. Si tratta di quella folle razionalità che ti permette di rialzarti e ristrutturare i fallimenti, fino a farli apparire come tappe verso nuove possibilità.

Nel corso della mia vita sento di non essermi mai trovata di fronte ad ostacoli di grande entità. Per questo sono sempre stata troppo vulnerabile ed insicura, affrontando nel modo sbagliato le difficoltà. Qualche anno fa, ad esempio, mi sono trovata ad affrontare un brutto periodo che mi ha portata ad incanalare un forte dolore immotivato. Questo mi ha fatto perdere ogni stimolo – compreso l’appetito – costringendomi ad essere sottoposta a numerosi esami. La situazione costrinse i miei genitori a prendere decisioni drastiche e che all’epoca non comprendevo, tanto da portarmi ad entrare in conflitto con loro. Solo oggi mi rendo conto di quanto io sia grata di averli avuti al mio fianco; senza il loro appoggio non sarei riuscita a rialzarmi anche a causa della mia giovane età.

Con il passare degli anni mi accorgo di aver acquisito una consapevolezza e una razionalità maggiore, che mi hanno permesso di comprendermi e capire qual è il modo più giusto per me di elaborare il dolore. Penso tuttavia di non potermi affibbiare di una terminologia che, come abbiamo potuto osservare durante il corso delle lezioni, spetta a persone che nella vita hanno avuto il coraggio di rialzarsi dopo un’importante caduta, fino a riuscire a darle un nuovo slancio contro ogni previsione.

Talvolta il vero ostacolo per chi si trova in difficoltà risulta essere la società, che se da un lato sembra aver aperto la propria mentalità all’accettazione del diverso, dall’altro dimostra di aver ancora molta strada da fare.

Il racconto di Emma (nome inventato)

Essere resilienti credo sia un onore, poiché ci rende partecipi alla vita. Ci rende vivi.

Non è per niente una cosa semplice e per questo ammiro tutte quelle persone che sono state resilienti almeno una volta nella vita, proprio come me. Ho avuto più di un momento resiliente ma solo uno mi ha cambiata.

Mia mamma ricevette una telefonata. Era mia zia che con voce roca e tremolante ci avvisava che zio si era sentito male e che era arrivata l’ambulanza a portarlo via. La notizia al momento mi lasciò un po’ sorpresa, creando una sorta di vuoto e confusione dentro me. Rimasi tranquilla ma non dissi nulla; non so come ma riesco sempre a mantenere la calma per qualsiasi cosa. In quel momento avevo fiducia e contavo nella destrezza della sanità, senza però valutare la cosa più importante, ovvero le conseguenze di un possibile infarto.

Tre giorni di angoscia, preghiere e speranza dominavano il mio modo di essere; tutto il resto non contava più nulla. Mio zio, all’età di soli 48 anni, non ce l’aveva fatta. Ancora una volta non dissi nulla, non me ne rendevo ancora conto. Non riuscivo nemmeno a piangere, urlare o arrabbiarmi, per cosa poi. Avevo bloccato tutto, pensieri ed appetito.

La sera seguente riuscii a liberare un pianto seppur non efficace, come se non avessi lacrime. I giorni seguenti iniziarono a distorcersi, ormai avevo un pensiero unico e non riuscivo in nessun modo a distrarmi; non riuscivo ad appassionarmi a nulla.

Il cibo diventò un problema. Colazione? Nemmeno una mela per merenda. Il mio sonno se ne andò, assieme a 11kg del mio peso. Sono sempre stata una ragazza sulla norma, sportiva ed energica, ma ora non riuscivo neppure a correre. Arrivai a 39 kg, da 50 che ero. Non avevo più un accenno di muscolo, i capelli spenti non avevano difficoltà a cadere. Diverse visite bastarono per farmi guardare allo specchio.

Ricordo la dottoressa quando mi chiese come stavo. Mi fece salire sulla bilancia e mi guardò. Rimasi allucinata e decisi subito di far qualcosa per salvarmi, o almeno dovevo provarci. Non mi riconoscevo più, non ero io.

Il dolore rimase. Cercai solo di farlo diminuire, soffrire e logorarsi interiormente non lo avrebbe riportato in vita. Pian piano, grazie ad integratori e pazienza, tornai me stessa in 3-4 mesi circa.

Il mio modo di pensare però cambiò. Non ero più come prima. Risultai più forte, più tenace su tutto. Riuscii ogni giorno a trovare la felicità in ogni piccola cosa e pian piano gli interessi tornarono; come ad esempio la musica, che mi donò la grinta e la creatività.

“Impossibile” non esiste. Per far qualcosa basta crederci fino in fondo.

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