Se è vero che il calcio è un fenomeno sociale (un fatto sociale, direbbe Durkheim), allora è vero che è in continua evoluzione.
Un altro dato di fatto è che l’individuo percepisce il progresso tecnologico in maniera molto meno rapida di quello che effettivamente succede, come si vede dalla seguente immagine:
Non è di certo mia intenzione qui ripercorrere le fasi evolutive del gioco del calcio, tanto nelle sue regole teoriche quanto nelle sue applicazioni concrete (tattiche, principalmente). Quindi salto direttamente ai giorni nostri e constato come molti addetti ai lavori (uno su tutti consiglio l’articolo di Antonio Gagliardi sulla rivista Ultimo Uomo https://www.ultimouomo.com/gioco-di-posizione-finita-era-funzioni-relazioni-guardiola/) inizino a parlare di fine del gioco posizionale, di fine della cd. “Era Guardiola”, di fine dei ruoli fissi, e dell’alba del gioco a – posizionale (come ama definirlo Diniz), delle funzioni, delle relazioni, delle connessioni tra i giocatori in campo.
Vero, se ne parla da anni, ma mi sembra che negli ultimi tempi queste posizioni stiano trovando sempre più seguito, anche sulla scia di alcune squadre che sembrano essere capofila di questo “nuovo” modo di intendere il gioco (mi vengono in mente l’Inter di Simone Inzaghi e la Fluminense di Diniz).
È altrettanto certo che non è mia intenzione dare giudizi di merito o far funerali o battesimi a modi di intendere il gioco del calcio, ma piuttosto è mia intenzione sviluppare un discorso trasversale e per certi punti di vista più generico e generale partendo da una considerazione di Diniz:
“La mia squadra gioca un calcio aperto, che suggerisce, lascia spazio a te (calciatore) per creare cose, per evolvere. Così, col tempo, se fai le cose bene, inizi a riconoscere che tipo di giocatori hai e come puoi basare la partita per avere un vantaggio sull’avversario, come attaccare molto e non essere vulnerabile, questo è qualcosa che ho provato a migliorare nel corso del tempo.”
Prendendo le parole di Diniz e facendone un’interpretazione personalissima, sottolineo due termini che ritengo centrali nella formazione e nell’esperienza calcistica: spazio e tempo.
Ritengo che spazio e tempo siano due centri di gravità permanenti che prescindono da qualsiasi specificità tattica e che rappresentano la misura di tutte le abilità extra – tecniche che un calciatore dovrebbe avere per essere considerato un bravo calciatore. In che modo?
Partiamo dallo spazio. I più maniacali diranno che un campo di calcio, in media, ha una superficie di circa 5000 metri quadrati. Questo significa che dividendolo per 22 giocatori ci sono circa 225 m2 a testa; e via con le proporzioni per i più piccoli, calcio a 9, a 7, a 5 ecc.
Il freddo dato matematico non ci dice molto, se non che in un campo di calcio c’è spazio per tutti.
Riprendendo il discorso iniziale sul gioco di posizione e sul suo uguale e contrario di a – posizione, volendo astrarsi per un secondo dalla diatriba degli allenatori, penso che il tutto possa essere ridotto ad un’occupazione razionale dello spazio da parte di ogni giocatore. Provo a fare degli esempi concreti sfruttando quei principi base che ogni allenatore impara ai vari corsi UEFA:
✔️ Il difensore centrale che conduce palla partendo dalla difesa raggiunge il centrocampo e successivamente passa la palla. Non stiamo forse parlando del concetto “Se ho spazio porto palla”? E quando il difensore passa la palla, non è perché trova di fronte a sé uno spazio occupato a fronte del quale può scegliere se passare palla o dribblare? E una volta che ha passato palla e decide di andare ad attaccare l’area o la fascia laterale, non è perché riconosce lo spazio libero di fronte a sé e lo occupa, un po’ come l’acqua che si disperde nella superfice libera?
✔️ L’attaccante che attacca la profondità per ricevere un passaggio in profondità, dopo tutto non sta semplicemente occupando lo spazio libero di fronte a sé?
✔️ L’esterno alto che chiude sul secondo palo quando l’esterno alto opposto sta per crossare, non sta semplicemente occupando lo spazio libero di fronte a sé?
Questa carrellata di semplici esempi mi suggerisce che il dominio dello spazio, inteso non tanto come metri quadrati a disposizione ma come capacità di riconoscere lo spazio libero di fronte a sé da parte del giocatore, sia una qualità fondamentale che dovrebbe essere allenata fin dalla scuola calcio. Quando ci diciamo “quel numero 9 non attacca bene la profondità”, non stiamo forse dicendo che non è in grado di riconoscere lo spazio da attaccare di fronte a sé?
Quando Guardiola nel 2009 diceva: “Noi non abbiamo un centravanti, perché il nostro centravanti è lo spazio”, dando il là all’era del falso nueve, non stava forse anticipando di 15 anni l’era dell’a – posizionismo stabilendo che diventava centravanti chi aveva la possibilità di occupare nel migliore dei modi quello spazio, avvalendosi ovviamente della capacità dei suoi giocatori di occupare ottimamente appunto quello spazio?
Nessuno nega che sia corretto trovare un ordine nel caos di una partita di calcio e che tatticamente l’ordine possa essere dato da alcuni ruoli quanto meno abbozzati, soprattutto da una certa età in su. Ma all’interno di quei ruoli, nello svolgersi di quella bellissima storia che è una partita di calcio, “occupa lo spazio libero di fronte a te” penso sia un concetto così splendidamente banale da coprire e abbracciare tutti i tipi di modello di gioco, tattica di gioco o impianto di gioco che vogliamo dare alla nostra squadra: la forza di questo principio sta nell’essere immune da qualsiasi fattore legato ad età, dimensioni del campo, qualità tecniche, condizioni del campo, condizioni meteo ecc. La difficoltà, per contro, sta nell’aiutare il calciatore a comprendere il gioco ed in particolare come questo sia in rapporto al mondo che lo circonda e a reagire a ciò che gli succede attorno.
La capacità di riconoscere lo spazio libero sembra quasi indegna di essere allenata, ma tuttavia ritengo sia una caratteristica fondamentale da promuovere fin dalla scuola calcio; anche perché è un concetto di immediata comprensione (quanto meno a livello semantico) per i ragazzi, ai quali troppo spesso tendiamo a complicare la vita con concetti astrusi e di difficile comprensione.
Passando al tempo, un attaccante che attacca correttamente la profondità calibrando i tempi di passaggio del compagno e l’esigenza di non finire in fuorigioco, non è dopo tutto una delle qualità migliori che riconosciamo nei bravi calciatori?
Il dominio del tempo può essere inteso sotto molti punti di vista: tempismo della giocata, rapidità di pensiero, rapidità di esecuzione; ma anche come dominio del tempo della gara, per cui l’abilità di saper variare l’atteggiamento tattico (e anche tecnico, si pensi alla capacità di fare un lancio lungo rispetto alla capacità di fare passaggi corti) rispetto al momento della gara rappresenta un altro dei tasselli fondamentali del gioco. Quante volte ci è capitato, di fronte alla televisione, di gridare “spazzala che è finita”! Cosa stiamo dicendo sotto sotto? Di assumere un atteggiamento tecnico – tattico di un certo tipo rispetto al tempo della partita in cui ci troviamo.
E il mio giocatore esterno alto quando deve chiudere sul secondo palo? Non appena l’esterno alto opposto prende palla? Ovviamente no. Dovrà essere bravo a riconoscere il tempo della giocata dell’esterno opposto quando sta per effettuare un cross a centro area.
E allora il nostro giocatore non dovrà essere bravo ad attaccare proprio lo spazio (attacco il secondo palo) e il tempo (nel momento giusto)?
La combo della capacità di dominare questi due aspetti del gioco (perché tali li considero) è un aspetto fondamentale nella “costruzione” del giocatore moderno, indipendentemente dal modulo adottato, dallo stile adottato, dalle posizioni, dalle funzioni, dal ruolo, dalle relazioni, dalle connessioni, dall’avversario. Che poi, a ben vedere, dominare lo spazio e il tempo significa creare tattica, creare funzioni, creare ruoli, creare connessi, lasciando al singolo l’arte della creazione rispetto a quello che egli stesso o ella stessa percepisce in campo (percezione che l’allenatore non potrà mai avere al 100%, semplicemente perché non è in campo).
Ben vengano le ere calcistiche e le novità, ma propongo anche di ancorare queste a degli elementi tanto mutabili quanto sempre presenti, come la giusta percezione dello spazio e del tempo.
A volte, come dicevo sopra, cerchiamo di trasmettere ai ragazzi concetti di difficile comprensione; invece, l’esercizio di ridurre ai minimi termini tali concetti (spazio e tempo) può avere degli effetti positivi e creare una sorta di vocabolario condiviso con i ragazzi stessi che loro possono interiorizzare nel corso degli anni, indipendentemente dagli allenatori che si susseguiranno nel corso della carriera di un calciatore.
Less is more.