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Il Mio Angolo Personale

Ma è Davvero Solo una Questione Fisica?

31 Gennaio 2019

Ma è Davvero Solo una Questione Fisica?

Da qualche mese mi sto interrogando sempre più su una questione che pare non avere certezze ma che meriterebbe quantomeno delle riflessioni approfondite da parte di tutti gli addetti ai lavori.

“Perché i giovani Italiani hanno così tante difficoltà ad affermarsi in Prima Squadra”?

Le risposte (o cause, a seconda dei punti di vista) possono essere davvero molte ma ciò che mi preme è trovare quanto meno qualcosa di oggettivo e a cui appellarsi.

Durante una recente puntata di “Calciomercato” (su SportItalia), Stefano Vecchi, dal 2014 al 2018 sulla panchina della Primavera dell’inter, ha risposto in merito alla stessa domanda. Il mister, quest’anno inizialmente sulla panchina del Venezia, ha dichiarato che in sostanza il problema è di natura fisica.

I giovani arrivano in Prima Squadra non pronti dal punto di vista fisico e non a caso, sostiene Vecchi, Zaniolo e Pinamonti, che in questa stagione si stanno ritagliando il loro spazio in Serie A, ricorda essere i più maturi sotto questo aspetto.

Partendo dal presupposto che non posso non credere alle parole di un professionista del settore, che ha allenato sia la Primavera sia gli Adulti, alcuni dubbi mi attanagliano.

  • E’ UN PROBLEMA FISICO

Tralasciando il fatto che in Italia riteniamo “Giovani” giocatori come Rugani, Caldara, Berardi, Benassi, tutti classe 1994 e che quest’anno compiranno 25 anni (venticinque), il pensiero si sposta per un attimo ai campionati esteri e scopro che:

  • Jupiler Pro Legue età media 25.2
  • Bundesliga età media 25.5
  • Ligue One età media 25.6
  • Serie A età media 26.8
  • La Liga età media 27.2
  • Premier League media 27.2

Da un’analisi più approfondita possiamo inoltre notare che le primatiste nei vari campionati hanno rispettivamente un’età media di (dati su www.transfermarkt.it):

  • Genk (Belgio) 24.5 anni
  • Borussia Dortmund (Germania) 24.9 anni
  • PSG (Francia) 26 anni
  • Juventus (Italia) 28.3 anni
  • FC Barcellona (Spagna) 27.5 anni
  • Liverpool (Inghilterra) 25.9 anni

Come possiamo osservare, l’Italia non è il fanalino di coda di questa “speciale classifica” e, soprattutto negli ultimi anni, la tendenza (vuoi anche per una ridotta disponibilità economica di molte squadre) è quella di provare ad invertire la rotta. Se pensiamo ad esempio ai diversi giovani lanciati dal Milan negli ultimi anni, trovo difficile immaginare che questi avrebbero potuto ritagliarsi il loro spazio in quella squadra, a mio avviso formidabile, che ha incantato l’Europa sotto la guida di Carlo Ancelotti.

Tornando alla nostra considerazione iniziale, se il problema è puramente fisico, come mai ad esempio nella Jupiler Pro League esordiscono piuttosto di frequente ragazzi ancora minorenni??. Il livello del campionato è sicuramente inferiore rispetto alla nostra Serie A, soprattutto dal punto di vista tecnico-tattico, ma se il problema è puramente fisico la difficoltà dovrebbe emergere ugualmente.

Yari Tielemans esordiesce a 16 anni in Champions League con la maglia dell’Anderlecht, diventando così il più giovane calciatore Belga di sempre a partecipare alle competizioni europee.

Volendo andare più a fondo cominciano a sorgermi ulteriori dubbi.

  • E’ UN PROBLEMA DI ORE DI ATTIVITÀ

Nel libro “Fuoriclasse”, scritto da Malcolm Gladweel (la mia recensione la trovate a questo Link), si fa riferimento alla “Regola delle 10.000 ore“, sostenendo che studi hanno dimostrato come occorrano almeno 10.000 ore di allenamento per diventare professionisti nella propria disciplina.

Nella passata stagione, alla guida di una squadra di Giovanissimi Professionisti, ci siamo allenati per circa 9.500 minuti, che equivalgono a circa 158 ore. Se sommiamo le 117 partite giocate, per una media di circa 45 minuti ciascuna, il dato che emerge sono 5.265 minuti giocati, pari a circa 88 ore di gioco. L’addizione successiva è la somma tra ore di allenamento e minuti di gara, pari a circa 246 ore. Nonostante sia un risultato sicuramente invidiabile, se moltiplicato per circa 11 anni di un intero settore giovanile, il risultato finale sono circa 2.700 ore, lontanissimi dalle 10.000 di cui sopra abbiamo parlato. E’ tuttavia vero che il dato finale non è propriamente veritiero se consideriamo che all’aumentare della categoria aumentano anche il numero di allenamenti settimanali. La somma finale rimane però comunque lontana dal risultato ottimale.

Scopriamo quindi che oltre ad un deficit fisico (di cui voglio continuare a fidarmi.. per ora..) pare esserci un problema nel numero di di ore di attività che garantiamo ai nostri giovani. Ad Agosto ho avuto modo di incrociare il Krasnodar (Russia) ad un torneo. Un interprete ci raccontava che disponevano di 50 tesserati per la sola annata 2005 (la mia di riferimento) e di come questi vivevano e studiavano all’interno della loro Accademia per tutta la durata della stagione, tornando dalle proprie famiglie 3-4 volte all’anno. In sostanza i ragazzi vivono all’interno del loro centro sportivo 24 ore al giorno, coniugando studio e attività fisica. I vantaggi mi pare persino superfluo elencarli…

Centro Sportivo del Settore Giovanile del Krasnodar 

Quando parliamo di “ore di attività” è bene sottolineare che non sono da considerarsi quelle rivolte esclusivamente al calcio, ma ad ogni disciplina sportiva. E come possiamo a questo punto non menzionare (ancora una volta) i limiti della proposta formativa nella scuola primaria Italiana? A quanto pare qualcosa dovrebbe cambiare nei prossimi anni ma finché non lo vedo non ci credo. Ad oggi la realtà è che le ore di attività motoria sono affidate alla maestra di Italiano o Matematica e che moltissimi plessi non dispongono nemmeno della palestra (problema non di poco conto se passasse la legge).

A questo aggiungiamoci pure l’abbandono al gioco di strada, di cortile, di oratorio, ed il problema eccolo qua. Molti dei bambini che oggi si avvicinano alla Scuola Calcio hanno deficit motori “importanti” che ne limitano l’apprendimento tecnico.

Gli utlimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) non lasciano dubbi: l’81 per cento di bambini e adolescenti in età scolare non si muove a sufficienza, fa una vita sedentaria e poco sport, con il risultato di mettere in serio pericolo la propria salute.

  • E’ UN PROBLEMA CHE ALIMENTA LA NOSTRA SOCIETÀ

Se parliamo di giocatori “non pronti per giocare tra gli adulti”, il riferimento non è necessariamente ai campionati professionistici. Se penso al campionato di Serie D ad esempio, dopo un confronto con diversi addetti ai lavori, emerge abbastanza chiaramente che i giovani che arrivano in questa categoria facciano parecchia fatica a ritagliarsi e meritarsi il proprio spazio (è bene ricordare che molti giovani che arrivano in serie D provengono da lunghe militanze nei settori giovanili professionistici).

Il giovane che esce dalla trafila dei professionisti, in moltissimi casi, non è pronto neppure per giocare in serie D! 

Ma com’è possibile?

La federazione da questo punto di vista ha inserito la regola dei fuori quota, che obbliga le società a schierare diversi giovani nell’undici iniziale. Risultato? Diversi ragazzi vengono schierati puramente per rispetto della regola e in rari casi perché ci si crede davvero. Il danno arriva poi. Una volta usciti dalla dicitura “GIOVANE”, molti di questi ragazzi vengono scartati o rispediti al mittente, con buona parte di questi che smette di giocare o finisce nelle categorie più basse. Mi chiedo quindi, serve davvero questa regola? E’ veramente d’aiuto per i nostri giovani? 

A parer mio così facendo si coltivano ancor di più le “false illusioni”. Ragazzi che si sentono “arrivati” finiscono per abdicare, con buona pace dei procuratori. I procuratori, aaah!!

Non vorrei che tra le varie possibili risposte alla domanda originale ci fossero pure: “le troppe aspettative“. Giovani calciatori vengono presto avvicinati da personaggi “curiosi-bizzarri”, che riempiono la testa dei genitori e del ragazzo con false speranze, false illusioni, false promesse. Fan sembrare che tutto sarà facile, senza difficoltà, con un percorso puramente in discesa. “Se non giochi è perché il mister non capisce nulla. Se non giochi ti porto a giocare da un’altra parte. Se non stai rendendo è perché il mister ti fa giocare fuori ruolo”. Alibi. Infiniti Alibi.

Chi “ARRIVA” ha innanzitutto TESTA!

Nicolò Barella fa il suo esordio con la maglia del Cagliari il 14 gennaio 2015, a 17 anni, nella partita di Coppa Italia contro il Parma.

Un amico mi ha fatto giustamente notare che quando parliamo di TALENTO, non necessariamente dobbiamo considerare esclusivamente la destrezza, la fantasia, l’estro..anche avere una forte DETERMINAZIONE è una forma di talento. Ecco quindi che oltre all’aspetto fisico e al numero di ore dedicate alla disciplina ci aggiungerei l’aspetto mentale, sul quale sempre più fattori incidono negativamente.

Continuando a credere alle parole di Vecchi (per il momento) mi accorgo però di come la verità cominci ad avere diverse prospettive e di come queste continuino ad aumentare con un’analisi ancor più approfondita.

  • E’ UN PROBLEMA DI RISULTATI

La Roma di Eusebio Di Francesco nella passata stagione è arrivata fino alle semifinali di Champions League, sfiorando una rimonta clamorosa ai danni del Liverpool e che sarebbe risuonata addirittura EPICA dopo quella rifilata ai quarti di finale col Barcellona.

Nella semifinale di Champions League 2017/2018 la Roma viene eliminata in semi-finale, nonostante la vittoria per 4-2 nella partita di ritorno.

Mister Di Francesco oltre ad offrire un calcio spesso piacevole, ha centrato la qualificazione all’attuale Champions League (2018/19); fatto che a qualcuno è risultato quasi scontato. Il campionato 2018/19 non sta tuttavia rispettando le aspettative dei “più”, tanto da far parlare di ESONERO o di DIMISSIONI, come se da una stagione all’altra fosse diventato un “pirla” qualunque. La Roma però, ed è ben ricordarlo, schiera spesso giocatori come Kluivert (19 anni), Karsdorp (23), Lorenzo Pellegrini (22), Cristante (23), Zaniolo (19), Under (21) e Schick (23), ragazzi di giovane età che talvolta, a causa di una naturale inesperienza, possono commettere qualche errore o sbagliare approccio alla partita.

Non possiamo quindi non citare le variabili CORAGGIO e RISULTATI.

In tal senso il caso di Gian Piero Gasperini all’Atalanta è stato quasi unico. Nella stagione 2016, alla sua prima stagione sulla panchina Bergamasca, collezionò zero punti nelle prime cinque giornate di campionato, andando molto probabilmente vicino all’esonero. Il tempo però gli ha dato ragione, lanciando giocatori come Gagliardini, Kessie, Conti, Mancini, Caldara, Bastoni, Petagna, Barrow, Castagne, ecc., contribuendo ad innalzare esponenzialmente il patrimonio societario.

Ma cosa sarebbe successo se Gasperini avesse perso anche la sesta partita? Sarebbe rimasto ugualmente seduto al suo posto? Non lo sapremo mai.

I Giovani e l’esigenza di ottenere SUBITO i risultati, due aspetti che raramente possono coesistere.

Addentrandoci sempre più in questa analisi mi accorgo che forse non è più una questione solo fisica.

  • “ERA” UN PROBLEMA PERCHÉ’ MANCAVANO LE SECONDE SQUADRE

Per anni le società hanno invocato l’esigenza delle seconde squadre, utili per continuare a far crescere i propri ragazzi, monitorandoli costantemente da vicino.

Il primo approccio non è stato certamente dei migliori, con la sola Juventus abile come sempre a farsi trovare pronta all’appello.

Credit Immagine: https://www.dialessandria.it

Qualcuno si è lamentato del poco tempo a disposizione per aderire alla proposta, qualcun altro dei costi di gestione di una seconda squadra. La sostanza è che per anni si è sostenuto che le seconde squadre erano ormai una necessità ma quando si è palesata concretamente l’opportunità, sono “scappati” praticamente tutti.

  • QUANDO PARLIAMO DI “FISICO”

Una cosa che ho capito è che non è una questione di centimetri.

A parer mio si è creata un po’ di confusione in merito a tale questione. In molti son pronti ad insorgere sui social, fermamente convinti che le società facciano a guerra per accaparrarsi il giocatore più grosso e più alto ma la verità è un po’diversa.

Se da un lato è vero che sicuramente diverse società lavorano per portarsi a casa i giocatori più precoci fisicamente, quelli che “domani” ti permetteranno di vincere il “Campionato Pulcini”, è anche vero che per giocare in “questo calcio”, fatto di intensità esasperata e scontri duri, il giocatore deve disporre in buona dose di ALMENO UNA CAPACITA’ CONDIZIONALE (o in media misura di tutte). Deve perciò essere o Forte, o Resistente o Veloce…ma con un alcune precisazioni.

Un giovanissimo Jesse Lingard “combatte” contro i pari età della Roma

Quando parliamo ad esempio di Velocità voglio escludere che essa sia intesa esclusivamente come quella motoria. Esistono infatti altre forme di Velocità, come ad esempio:

  • La Velocità di anticipazione: la capacità d’intuire, in un brevissimo istante, lo sviluppo di gioco e soprattutto il comportamento dell’avversario.
  • La Velocità di reazione: la capacità di reagire velocemente di fronte a delle situazioni di gioco imprevedibili

Ecco allora che giocatori apparentemente “normodotati dal punto di vista fisico”, ma dotati di una tecnica Eccezionale e di una comprensione del gioco raffinata, riescono comunque ad emergere in un calcio sempre più fisico.

Xavi Hernandez è considerato uno dei più forti registi della storia del calcio, è cresciuto nel Barcellona nel quale ha militato dal 1998 al 2015, vincendo otto campionati spagnoli, sei Supercoppe spagnole, tre Coppe del Re, quattro UEFA Champions League, due Supercoppe UEFA e due Coppe del mondo per club FIFA.

Quest’ultimo aspetto mi da dunque l’opportunità di ipotizzare un altro possibile PERCHÉ alla domanda originale.

  • E SE STESSIMO SBAGLIANDO QUALCOSA A LIVELLO DI FORMAZIONE DEL GIOCATORE?

Da un lato credo sia una questione di mentalità, dall’altra di una visione troppo a breve termine, che non mette al centro del progetto il ragazzo. Mi riferisco all’ansia di vincere a tutti i costi.

La classifica, a livello di settore giovanile e in alcuni casi persino di Scuola Calcio (in alcune provincie e regioni i quotidiani locali pubblicano settimanalmente le classifiche del torneo Primi Calci; sì lo so, è una cosa demenziale) è il motivo principale per cui ci si allena.

A mio avviso gli allenatori di settore giovanile si dividono infatti in due categorie:

  • quelli che PREPARANO LA PARTITA e che durante la settimana lavorano in funzione di essa
  • quelli che durante la settimana lavorano per FORMARE IL GIOCATORE

La finalità è la stessa, VINCERE LA PARTITA, ciò che realmente fa la differenza è il come si persegue l’obiettivo.

“Ma cosa c’entra tutta sta solfa adesso?”

Sono piuttosto convinto che stiamo sbagliando qualcosa nella formazione del ragazzo e sono decisamente convinto che l’ansia della classifica porti molti di noi ad anteporre la ricerca della vittoria, A TUTTI I COSTI, alla crescita del giocatore.

Il risultato è che formiamo giocatori per lo più incapaci di gestire il pallone tra i piedi e sotto pressione, per nulla preparati a risolvere con coraggio e idee i molteplici “problemi” che il giocatore sarà chiamato a risolvere all’interno del terreno di gioco.

Siamo ahimè ancora convinti che insegnare la TATTICA significhi esercitare i ragazzi con sessioni interminabili di 11 contro 0 o attraverso ripetizioni meccaniche e schematizzate; in realtà quanto di più lontano da ciò che il giocatore ritroverà in gara.

Sandro Tonali, classe 2000, centrocampista attualmente del Brescia e da molti considerati il futuro del calcio italiano

Per questo, oltre alle considerazioni precedenti, sono convinto che noi allenatori siamo i primi a sbagliare, siamo i primi che non capiamo cosa sia davvero importante per il FUTURO dei nostri giovani.

  • E SE FOSSE DAVVERO UN PROBLEMA FISICO?

Tornando per un attimo alla possibile causa iniziale, non posso non menzionare una frase che ho sentito esprimere da diversi addetti ai lavori, anche se il più delle volte da preparatori atletici:

“Il giocatore deve essere innanzitutto un’atleta”

(sottintendendo che il calciatore andrebbe costruito sulle fondamenta di un’atleta)

Se da un lato ho già espresso che l’aspetto fisico non può non essere tenuto in considerazione,  essere un’atleta significa aver anche cura della propria vita privata, nel rispetto di un’alimentazione sana e della rinuncia a diversi vizi. D’altro lato fatico però a credere che l’aspetto fisico debba essere così preponderante per poter “sfondare nel mondo del calcio”.

Se è vero che alcuni calciatori hanno costruito la loro carriera su capacità fisiche formidabili, fuori dal comune, è altrettanto vero che non propriamente tutti rispecchiano il prototipo dell’atleta “perfetto”. Altri hanno probabilmente saputo coltivare il proprio TALENTO, coniugando capacità tecniche e un’interpretazione del gioco UNICA, diventando dei veri MAESTRI del gioco.

Andrea Pirlo, soprannominato il Maestro, si è segnalato sin da giovane come uno dei maggiori talenti espressi dal calcio italiano. È considerato uno dei più grandi centrocampisti della sua generazione e uno dei più forti registi della storia del calcio mondiale.

In conclusione sì, credo che Stefano Vecchi abbia sicuramente ragione, ma forse ci dovremmo chiedere un po’ tutti se non è anche colpa NOSTRA!

Credit Immagine: https://www.footballscouting.it/under-20/italia-under-20-pari-germania-3-3/

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