Quanto Conta la Figura dell’Allenatore??
L’idea dell’articolo di oggi nasce da una serie di riflessioni che mi balenano per la testa e che nascono da alcune considerazioni, fatte da altri utenti, sulla pagina Facebook di Ideacalcio.
La domanda è: “quanto conta la figura dell’Allenatore all’interno di una squadra?”
Per me molto… ma con alcune precisazioni.
Anche se per alcuni potrà sembrare assurdo, parto distinguendo la figura dell’allenatore nelle tre fasce: Scuola Calcio, Settore Giovanile, Prime squadre.
Questa divisione è a mio avviso doverosa, in quanto l’allenatore assume (in teoria) obiettivi ben differenti a seconda della fascia d’età con cui opera.
Se nella Scuola Calcio e nel Settore Giovanile un allenatore deve essere innanzitutto un Educare, nel mondo degli Adulti, con Uomini di 25-30 anni, è auspicabile aspettarsi di avere a che fare con persone mature, sia in termini tecnico-tattici che di personalità; potremmo dire vicini al loro massimo potenziale.
L’educazione allo sport, ritengo dovrebbe essere materia di studio all’interno del mondo della scuola, al fine di trasmettere quei valori sempre più difficile da trovare, come ad esempio la cultura del lavoro e del sacrificio, la forza di volontà, la determinazione e tanti altri valori che, come ho detto, sembra stiano scomparendo nelle nuove generazioni.
Ma quanti di noi riescono a trasmettere questi valori?
Dalle storie che mi giungono, la tendenza è quella di scaricare sempre tutte le colpe sui giocatori, non facendo mai auto-critica. Senza voler tirare in ballo contesti sociali in cui diventa veramente complicato allenare, ciò che discuto è che spesso siamo proprio noi allenatori a far poco o nulla per provare ad accendere “quel fuoco che brucia dentro i ragazzi”.
L’allenatore non deve essere solo preparato dal punto di vista tecnico-tattico, ma riuscire a creare Empatia coi suoi giocatori, oltre che condividere col gruppo un obiettivo che diventi comune alla squadra. In quest’ottica ricordo con grandissimo piacere un collega che anni fa, pur con allenamenti estremamente poveri di concetti, riusciva a farsi volere un gran bene dai ragazzi per il suo modo di fare.
In questo percorso formativo e di crescita, il ruolo dell’allenatore di settore giovanile è a mio avviso FONDAMENTALE e diventerà cruciale attorno ai 16-17 anni: statisticamente l’età dell’abbandono allo sport. In questa fascia d’età subentrano numerose distrazioni che, se non contrapposte all’amore per lo sport, finiscono per spezzare prematuramente la pratica sportiva; soprattutto in quei contesti dove la motivazione “allenati duramente se vuoi emergere”, risulta poco stimolante.
A tal proposito tre stagioni fa mi capitò un episodio che merita di essere raccontato. Alla guida di una squadra Allievi decisi di affrontare proprio questo tema con la squadra (quali fossero le motivazioni che portano un ragazzo della loro età a smettere di giocare). La risposta di uno di loro fu talmente spiazzante che ancor oggi la ricordo: “a 17 anni ti accorgi che probabilmente non arriverai a giocare ad altri livelli. A questo punto ti conviene smettere“.
Questo breve aneddoto racconta di come si sia probabilmente sbagliato qualcosa in ciò che negli anni è stato trasmesso al ragazzo. Praticare sport in generale (prima ancora che parlare del calcio) dovrebbe essere un dovere (soprattutto in ambito giovanile), quasi un fabbisogno. Se facciamo passare il messaggio che solo se praticato ad alti livelli ha un valore, abbiamo fallito.
Il ruolo dell’allenatore nella Scuola Calcio (qualcuno in questo caso ne fa una distinzione di definizioni, preferendo farsi chiamare Istruttore; a parer mio non cambia nulla, è ciò che siamo e come ci comportiamo che ci definisce) è “forse” ancor più importante. In questa fascia d’età si possono fare veri e propri danni su bambini/ragazzini in piena fase di sviluppo, con feedback negativi che possono compromettere irrimediabilmente il futuro di diversi giocatori se protratti nel tempo.
Ho visto squadre di Pulcini non effettuare mai non più di due passaggi consecutivi nella propria metà campo o mettere in pratica fino a quattro schemi differenti su calcio d’angolo. Sono questi gli obiettivi di un formatore? Che aiuto stiamo dando al futuro di quel giocatore?
Nella Scuola Calcio e nel Settore Giovanile si vedono spesso allenatori (di qualunque età) intenti a raggiungere un solo obiettivo: la Vittoria, intesa purtroppo come il solo raggiungimento del risultato numerico.
Ho sentito sostenere che “l’allenatore non conta nulla, ci vanno i giocatori in campo” o che “sono i giocatori a rendere grande un allenatore e non viceversa“. D’accordo in parte…
Se è vero che sono i giocatori i veri artefici della partita e coloro che la determinano (nel bene e nel male però ricordiamoci allora; perché nel male finisce invece quasi sempre e solo l’allenatore), non sono d’accordo che l’allenatore non abbia un peso. Quanti giocatori abbiamo visto “rinascere” con un semplice cambio in panchina o giovani catapultati in prima squadra grazie al coraggio di un tecnico? Quante squadre abbiamo visto scendere in campo senza un’identità ben precisa o non accendere i cuori della gente? Impaurite dalla complessità del gioco!
Per me l’allenatore conta moltissimo, soprattutto coi giovani.
Partecipare alla loro crescita, aiutarli a sviluppare personalità e autostima, oltre che accompagnarli nel processo complesso della comprensione del gioco; il tutto proponendo un calcio formativo, che provi a dominare e controllare gli eventi, piuttosto che subirli.
Capitolo Adulti.
Ci ritroviamo con giocatori nel pieno della loro maturazione, con cui diventa sicuramente più difficile riuscire a convincerli della bontà delle nostre idee. Un Adulto ha un proprio vissuto, una serie di esperienze, positive e negative, che hanno creato in lui diverse credenze e convinzioni. In quest’ottica, le parole di Paco Jemez, ex allenatore del Rayo Vallecano, esprimono chiaramente questo concetto:
“Se non convinci tutti i tuoi giocatori che devono giocare così, il disastro può essere di proporzioni monumentali. Se non sei capace di convincere i tuoi giocatori, hai due possibilità: o cambi modo di giocare o devi presentare le tue dimissioni.”
Il video che segue mostra la fase offensiva della squadra di Madrid nella partita persa 5-2 contro il Barcellona al Camp Nou: una partita in cui il Rayo ebbe il 56% del possesso palla, calciò 22 volte contro le 14 del Barcellona, ottenne 10 angoli contro i 7 dei blaugrana ed effettuò 103 passaggi efficaci nella trequarti avversaria contro i 68 del Barcellona.
Il pensiero dell’amico Gianni Migliorini, in poche parole riesce a racchiudere quella che è per me l’essenza del calcio:
“Questo video come ennesima risposta a chi pensa che per fare un calcio propositivo e di dominio del gioco servono i giocatori forti. La forza delle idee prima di tutto, poi come sempre la qualità degli interpreti determina il risultato. A Barcellona avresti perso comunque, almeno te la sei giocata e li hai messi in difficoltà sul loro stesso piano, quello del gioco, chapeau. Prima ci vogliono allenatori coraggiosi e con le idee chiare, che le sappiano trasferire ed allenare, poi parliamo di qualità degli interpreti.”
Chiudo con un ultimo personale pensiero:
Mi piace pensare la figura dell’allenatore un po’ come quella di un insegnante che lascia un segno indelebile (con la speranza che sia positivo) nei giocatori che incrocia nella propria vita.
Ho la speranza che un giorno tutti i miei ex giocatori si ricordino di me, di come quel tempo trascorso insieme ci abbia arricchiti entrambi.
Foto: https://thesefootballtimes.co
Commenti
Buttala via….Spazza…quante volte…troppe
Da recuperare il video dove il maestro Bielsa perse contro l’under 21 di casiraghi e a fine partita gli disse che quello non era calcio