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FootSofia

“FootSofia”: Semplice complesso

20 Febbraio 2020

“Footsofia”: Semplice Complesso – L’Illusione di Linearità

“E’ nota l’immagine del filosofo perduto con la testa tra le nuvole. Esule della filosofia, a me capita piuttosto di aver la testa nel pallone. Perché non riesco a farne a meno, letteralmente. Metaforicamente, perché muovermi tra idee, modelli, metodologie, allenamenti e opinioni di chi sostiene tutto e il contrario di tutto è ormai un casino che gonfia la testa. La mia perlomeno.

Se Dio avesse voluto che giocassimo a calcio fra le nuvole avrebbe messo l’erba lassù” diceva Brian Clought. In fondo, invece, quaggiù basta uno spazio (neanche d’erba), quattro segni (anche immaginari) per linee e porte, una palla (o simili) a cui dare due calci. E una testa per pensarci.

FootSofia é un tentativo paradossale: usare la filosofia per riportare il pallone dalla testa ai piedi, dalle nuvole alla terra.

Quando un passaggio può diventare meno complicato, ma rimanere complesso.

Insegnare “dal semplice al complesso”. Scomponiamo i gesti, le componenti essenziali, ricomponiamole adattandole alla complessità. Sinceramente nutro sempre qualche sospetto quando lo sento. Un po` perché mi da l’idea del processo di apprendimento come qualcosa di sommativo, come se avessimo di fronte un “vaso da riempire” un poco alla volta, un processo in cui un mattone si posa sull’altro formando alla fine un grande e bel edificio, dalle “pietre fondamentali” alle “decorazioni”. E personalmente (e filosoficamente) non credo nei grandi e platonici palazzi della conoscenza dalle basi solide.

Amo i ruderi, qua e la, in spazi aperti. Amo Spinoza, quando parla di “emendazione dell’intelletto”; emendare: pulire, rimuovere difetti e imperfezioni, togliere. Non dunque un accumulo di conoscenze, abilità ecc…piuttosto una chiarificazione, una pulizia, un affinamento delle stesse. (Una chiarificazione del talento?).

Dal complesso al semplice allora (arrivare al Semplice, la cosa più difficile…parafrasando Cruyff). Non dai gesti al gioco, ma dal gioco al gioco semplificato, chiarificato.

Al di la di una simpatia personale, credo che dietro alla metodologia “dal semplice al complesso” ci sia un fraintendimento concettuale. Dici, se un ragazzino non sa eseguire bene un passaggio in un contesto complesso (partita, possesso palla ecc…) ha bisogno di allenarsi prima semplicemente sulle componenti del passaggio. Sul gesto semplificato, scomposto, analizzato e migliorato al dettaglio (corsa, appoggi, piede d’appoggio, punto di impatto, postura del corpo ecc). E poi in una progressione dove aumentano le variabili e aumenta la complessità (passaggio senza avversario —> avversario passivo —> un avversario —> più avversari —> in superiorità numerica —> in contesto gara). Dal semplice al complesso, sembra scontato. No, o meglio…si ha buon diritto di pensare e di agire in questa maniera, ma si sta confondendo Complesso e Complicato.

Complesso (complectur, complexus) è qualcosa di intrecciato, interdipendente, parti interrelate che influiscono l’una sull’altra. La concatenazione dei nessi, dei legami fa si che sia difficile individuare e isolare tutte le variabili in gioco per prevedere gli sviluppi.

Complicato (complicare: piegare, arrotolare, avvolgere) ha che fare invece con un qualcosa difficile da srotolare, da decodificare, da scoprire o semplificare. Ma la difficoltà non toglie che sia possibile, anche in modo faticoso, lavorare ad una soluzione. Ciò che è complicato può essere ridotto a qualcosa di più semplice.

Se vogliamo il complesso è uno stato strutturale, il complicato uno stato “mentale”. Il complicato si può semplificare, il complesso rimane complesso.

Il calcio è uno sport complesso, dove molti elementi e variabili, spesso indecifrabili, interagiscono l’una con l’altra. Questo pertiene allo stato del sistema, che non può essere altrimenti. Alcune parti del gioco, al contempo, (nel nostro esempio il passaggio di un giocatore) possono risultare però complicate da qualche fattore: come un problema da sciogliere, se riesco ad isolare la variabile, il fattore della complicazione (es: il giocatore passa male perché la postura è scorretta quando incontra il pallone) posso migliorare. Analizzo, semplifico, lavoro sui dettagli: riduco o elimino la complicazione. Eppure la complessità del passaggio in gara non è isolabile (è una interazione non lineare e indecifrabile delle componenti spaziali, temporali, emozionali, situazionali, circostanziali ecc…), è uno stato del sistema che rimane tale. Ecco perché per il ragazzino quel passaggio può diventare meno complicato, ma rimanere complesso.

Pertanto, a livello metodologico, è la complicazione che va sciolta, ma la complessità va fatta salva, sempre. Le complicazioni vanno ridotte, ma la complessità del gioco deve rimanere al centro del processo di allenamento.

Noi nutriamo spesso una ILLUSIONE DI LINEARITÀ, il pensiero che un problema lo si possa sempre scomporre in un insieme di sotto-parti indipendenti tra loro. Ma spesso i vari componenti/nodi di un problema interagiscono gli uni con gli altri così da rendere impossibile la separazione dei nessi, la semplificazione (non-linearità).

L’illusione di linearità ci fa dire che sommando le semplici parti (coordinazione+postura+gesto perfetto+avversario…), io riesca a raggiungere la complessità del sistema. Il calcio, per fortuna, ci smentisce sempre. Apprendere il gioco attraverso il gioco, ridurre le complicazioni con la semplificazione. Non dal semplice al complesso, ma semplificazione (principi di gioco, lavoro specifico individuale…) all’interno della complessità.

Sempre ammesso che tutto, per forza, sempre, vada comunque semplificato.

“Se introduci un po’ di anarchia… se stravolgi l’ordine prestabilito… tutto diventa improvvisamente caos. Io sono un agente del caos. E sai qual è il bello del caos? È equo!“

(Heath Ledger -Joker-, Il cavaliere oscuro)

 

Credit Immagine: https://chiaraborghini.it

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