In Viaggio Verso Londra – “Italians do it Better” – Capitolo 14
Quattordicesimo appuntamento con la rubrica “In Viaggio verso Londra”. Rubrica curata dal collega Stefano D’Errico, attualmente a stretto contatto con la Community dell’Arsenal.
Ben ritrovati con la rubrica “London Calling” …
È parecchio oramai che riporto della mia avventura londinese, e in tutti in questi appuntamenti non ho fatto che altro raccontare quello che di nuovo, entusiasmante e magnifico ho avuto il privilegio di scoprire e vivere sulla mia pelle. C’è qualcuno però che si sarà legittimamente chiesto: “Ma è possibile che sia tutto bello ed idilliaco da quelle parti?”. Ecco dunque che oggi, anche se un po’ controcorrente, voglio esaudire il desiderio dei curiosi del caso, proponendovi la mia personale Black List: Italians Do It Better.
1) La Sentenza di “Sir Claudio”. Il recente successo del Leicester di Ranieri, Conte sulla panchina del Chelsea, Guidolin e i suoi successi con lo Swansea confermano inequivocabilmente (se ancora ce ne fosse bisogno) del valore della classe allenatori made in Coverciano, polo formativo del calcio italiano. Ho recentemente elogiato il sistema formativo coniato dalla Football Association, sottolineando l’ampia scelta di corsi a disposizione. Avevo però anche puntualizzato che questi corsi sono organizzati su un periodo di tempo troppo corto. Pensare di poter “imparare ad insegnare calcio” in una settimana è una follia, considerando la mole di informazioni da digerire e successivamente mettere in pratica. Oltretutto, per molti corsi basta la sola presenza, senza una reale valutazione alla fine, a mio modo di vedere indispensabile per assicurare un certo livello qualitativo.
2) La “Sindrome di Football Manager”. Giusto qualche anno fa ho visto un documentario che parlava del fenomeno Football Manager, gioco di fama mondiale molto in voga nel Regno Unito. Poco male penserete, se non fosse che questo tipo di influenza si riflette poi il weekend sui campi di calcio. Coach, assistant coach, preparatore atletico, vice preparatore, tattico, responsabile dei calci piazzati. Ci sono squadrette di ragazzini in cui lo staff, vestito tutto di punto con le immancabili iniziali sul petto, è più numeroso dell’effettiva rosa di giocatori a disposizione. Per non parlare poi della gestione effettiva del momento partita, in cui molti di loro dimenticano la loro reale missione sportiva, trasformandosi in provetti ‘Alex Ferguson’.
3) “Traffici Illegali”. Non preoccupatevi, niente di realmente contro la legge. Mi riferisco alla possibilità da parte dei ragazzi di poter giocare con più squadre contemporaneamente, anche nella stessa partita. Ho avuto infatti modo di assistere alla scena in cui un ragazzino ha giocato un tempo con una squadra, e il secondo tempo con la squadra avversaria! Bello, brutto, sono sicuro potrebbe scatenare un bel dibattito questa cosa. Quello che io penso è che i concetti di squadra, affiliazione, identità e senso di appartenenza siano aspetti determinanti nella crescita sociale dei ragazzi, sicuramente non agevolati da questo genere di dinamiche, che minano un po’ ogni sforzo in tale senso.
4) “Campionato Io ti Amo”. Strano sapere che non esiste, come lo intendiamo noi, un vero e proprio campionato giovanile. Esistono infatti tante leghe, organizzate da tanti enti diversi (quella di Regent’s Park penso sia unica nel suo genere per l’ambiente che l’accompagna), ma non il classico torneo organizzato dalla federazione. Tralasciando i possibili aspetti positivi che accompagnano questa soluzione, ce ne sono altrettanti sicuramente negativi. Il fatto che molti di questi tornei finiscono spesso in primavera obbligano i club a dover trovare tornei e amichevoli continuamente, non sicuramente una cosa agevole. Per non parlare poi del livello tecnico: l’organizzazione in “fasce” dei campionati giovanili in Italia aiuta senz’altro il livellamento delle forze, cosa altrimenti difficilmente gestibile, con indiscusse negatività per l’attività dei ragazzi. E infine rientra in questa categoria anche quanto detto in precedenza riguardo i “traffici di giocatori”, cosa generalmente impensabile in un campionato regolamentato come il nostro che prendi multe persino se usi la penna rossa per compilare la distinta.
5) “Business”. Non a caso questo termine è stato coniato proprio da queste parti. Il sistema qui sa come girare per generare profitto. Purtroppo però, non sempre quantità è sinonimo di qualità. Avere gruppi di trenta bambini può avere ottimi risvolti dal punto di vista economico, ma con un solo allenatore a disposizione siamo sicuri che la qualità dell’esperienza sportiva sia altrettanto proficua?
6) “Lo stereotipo”. Un aneddoto che ho vissuto anche sulla mia pelle. Corso Coaching Level 1, lezione pratica, un piccolo riscaldamento in cui mi diverto con qualche palleggio e inutile ‘numerello’ da circo. Si avvicina un ragazzo e mi dice: ‘trequartista, vero? ’. ‘In realtà mai giocato sopra la linea di centrocampo nella mia vita’. Questo per evidenziare la forte attitudine a stereotipare i ragazzi nei ruoli secondo caratteristiche fisiche o presunte abilità tecniche. Sei alto e longilineo? Difensore centrale o attaccante. Sei basso e veloce? Ala. Sei capace a controllare il pallone e tarchiatello? Centrocampista centrale. È chiaro che questa visione limita le possibilità dei ragazzi di fare esperienze e sviluppare qualità varie, multilaterali e adattabili a più situazioni.
7) E infine una curiosità: lo spogliatoio. Almeno per l’attività di base che ho avuto modo di seguire, il 90% delle volte le squadre non utilizzano gli spogliatoi. I ragazzi arrivano già cambiati da casa, e finita la partita se ne vanno così come sono. Ora, tralasciando il discutibile igiene, trovo questa soluzione sbagliata nel quadro generale dell’esperienza sportiva dei giocatori. Lo spogliatoio è un luogo sacro, un’identità ben precisa se vogliamo. Cambiarsi gradualmente da soli, avere cura del proprio materiale e del proprio posticino sulla panchina è una sorta di rito di iniziazione, quello che ti rende grande ed indipendente da bambino. E non aggiungerei oltre, perché certe cose rimangono nello spogliatoio…
Dopo questa ‘parentesi polemica’ se volete, ma doverosa, la proposta tecnica di oggi. Il mio primo anno londinese è praticamente agli sgoccioli, per questo ho deciso di proporvi un’esercitazione che si sposa perfettamente con questo mio personale ed inesorabile conto alla rovescia.
5…4…3…2…1…Countdown!
Questa attività rientra nella categoria small sided games. Classicamente proposta a fine all’allenamento, può anche essere utilizzata come warm up propendendo per un approccio più tattico, creando inoltre positività e divertimento iniziale nel gruppo.
Lo spazio di gioco varia in relazione al numero di giocatori (per un 5c5 come rappresentato in figura un 25×15 può andare più che bene). Due squadre si sfidano cercando di segnare una rete dopo aver effettuato un numero predefinito di passaggi consecutivi. Ogni squadra per vincere la partita deve segnare in totale 5 reti, ognuna effettuando un numero di passaggi diverso: 5, 4, 3, 2 e 1 (inizialmente non importa seguire un ordine preciso).
Analisi: come per ogni partitella condizionata, questo gioco include e richiama una miriade di componenti di varia natura. Da un punto di vista tecnico, il contesto simile a quello reale di gioco coinvolge praticamente tutti gli elementi, anche se passaggio e controllo sono quelli di riferimento. La loro espressione tattica si materializza in situazioni diverse, in cui tali comportamenti vanno adattati, andando a stimolare l’intelligenza di gioco dei ragazzi: dal possesso palla nelle sequenze di passaggio più lunghe, alle combinazioni più rapide per segnare con pochi passaggi a disposizione. L’obiettivo del gioco crea sicuramente grande competizione e coinvolgimento, fattori che inevitabilmente inducono alla cooperazione ed al lavoro di squadra (chi tiene il punteggio? Come?). Questi due ultimi elementi vengono ulteriormente enfatizzati dalla natura strategica del gioco, che ogni coach ha il dovere di promuovere: Quale strategia di squadra? Agire secondo un ordine prestabilito o random?
Varianti & Progressioni: alternativa all’obiettivo di gioco tradizionale potrebbe essere quella di chiedere alle due squadre di seguire entrambe un ordine fisso (crescente o decrescente), oppure sequenza opposta (una crescente, l’altra decrescente). E perché no, seguire anche l’ordine prima pari poi dispari. Per quanto riguarda le progressioni, aumentare la difficoltà del gioco è senz’altro possibile aumentando il numero di passaggi dopo cui è possibile segnare, oppure associando vari compiti ad ogni gol: esempio segno dopo 5 passaggi e su cross, oppure dopo 4 passaggi includendo almeno una triangolazione. Un’altra idea, spostando completamente il focus tecnico, potrebbe essere quella di associare i numeri ai tocchi, soluzione metodologica concentrata sullo sviluppo di elementi come dribbling, dominio, controllo, ecc.
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