Siamo oggi alla seconda e ultima parte del racconto di Ilario di Nicola.
Colgo l’occasione per ringraziare Ilario per averci reso partecipi dell’esperienza della Gothia Cup. Un torneo che sinceramente non conoscevo e che terrò d’occhio con grande attenzione nelle prossime stagioni.
Concludo con un’osservazione che ormai ho assodato da un po’ di tempo. Tra qualche anno i paesi Scandinavi metteranno dietro di loro pure l’Italia.
Strutture e tanta voglia di investire sono parole che nel nostro paese, ahimè, ci hanno lasciato.
La Gothia Cup, di Ilario di Nicola
Il passaggio del turno
Coi 6 punti ottenuti nel girone di qualificazione, passiamo il turno. Neanche il tempo di fischiare la fine e mi suona il cellulare. E’ un’sms, giochiamo alle ore 18.00 a Bergsjovallen campo 1, 64° di finale con una squadra Inglese. Via di corsa a scuola, pranzo e ripartiamo subito col pullman. Arriviamo al centro sportivo e non posso credere ai miei occhi, di nuovo un campo sintetico nuovo di “pacca” e un campo in erba con un manto erboso da serie A. Giochiamo con il Kinetic Atletic, una selezione di ragazzi dei quartieri poveri di Londra, sponsorizzata Nike e da quello che ci dicono anche da alcuni fondi governativi messi a disposizione per poter togliere dalle strade i ragazzi e magari riuscire a metterli in mostra per qualche grande club.
Una bellissima partita, anche loro sulla falsa riga dei Brasiliani, ma ordinati in campo, si vede che vengono da una situazione difficile e che non sono cresciuti nella bambagia, hanno fame. Molti hanno 1 anno in meno dei miei, ma sembrano 1 anno più grandi, hanno grinta, rabbia, agonismo, tecnica di base da far paura. Nonostante questo, disputiamo forse la più bella partita in due anni sotto la mia gestione. Vinciamo 2-1 a 5’ dalla fine quando prendiamo gol su un calcio da fermo e ai rigori loro sono più bravi e passano. Durante il match botte da orbi, a fine partita abbraccio generale e “well done”. Arriva l’agente Fifa presente a bordo campo e ci dice “italian guy’s have a big heart, congratulation”.
Ringrazio e me ne vado. Da oggi ci godiamo 4 giorni di calcio da spettatori e ci divertiamo. Andiamo a vederci le finali della nostra categoria, della categoria 99 e categoria 98 allo stadio Ullevi Gamla di Goteborg.
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Le Fasi finali e il mio resoconto
La qualità non è altissima. Tra giovedì e Venerdì le squadre che sono arrivate fino in fondo hanno giocato 3 gare al giorno e in finale si vede la mancanza di lucidità. Assistiamo però a delle partite veramente belle, tra cui sicuramente spicca una squadra Giapponese che con un 4-4-2 disputa una partita spettacolare, tecnica, ben giocata, completamente dominata dal primo minuto all’ultimo.
Tocca ad un’ennesima accademia questa volta Ghanese con una Svedese. I primi hanno la meglio, guidati da 3 giocatori da una classe e una tecnica sopraffina.
Veniamo alle conclusioni, parlando ovviamente con i vari allenatori, gli organizzatori, i responsabili del torneo e con i vari ragazzi, quello che emerge in particolar modo è stato che la maggior parte delle squadre Svedesi gioca con il 4-3-3, con la linea difensiva a ridosso della metà campo e con i due centrali che giocano larghissimi tra di loro, cercando di far salire il più possibile i due esterni bassi andando a formare uno strano 2-5-3.
Per le squadre Svedesi far girar palla da un lato all’altro del campo è essenziale. Ogni qualvolta che recuperavano palla nella loro metà campo consolidavano il possesso, diversamente se veniva recuperata nella metà avversaria si cercava immediatamente la verticalizzazione verso la punta più lontana dalla palla che andava ad effettuare un taglio verso la porta. Non ho mai visto un lob per cambiare campo. Il portiere non rilanciava mai, sempre giocata a terra per i due esterni o i due centrali o addirittura per i centrocampisti. Sulle palle inattive invece, ogni qualvolta che ottenevano un fallo nella metà avversaria, la palla veniva buttata “in the box” a cercare il colpo di testa e, come mi ha spiegato l’allenatore di una squadra Svedese, per loro è fondamentale che gli attaccanti quando vicini all’area cerchino l’uno contro uno e il tiro, senza prendere in considerazione la possibilità di uno scambio rapido sul breve.
Un’altra cosa che mi spiegavano gli Svedesi è che loro educano i ragazzi con lo sport. Le stesse ragazze Svedesi, quando approcciate dai miei ragazzi per scopi ovviamente di scambio “culturale”, chiedevano ai ragazzi di fare una partita a Basket o a calcio, calcio tennis, gara di palleggio. Come le stesse ragazze hanno poi spiegato ai miei, in Svezia lo sport è essenziale e quasi tutte le ragazze giocano a calcio. Ogni società ha la categoria maschile e femminile e per i numeri elevati che hanno sono costretti a fare più di una squadra.
Un altro aspetto che mi ha colpito molto è stato il confronto con i ragazzi Ghanesi ma soprattutto dello Zambia, che mi hanno spiegato che loro sono una selezione tra tantissimi ragazzi che giocano a calcio nella capitale Lusaka e che al termine del torneo ne avrebbero giocati altri 3/4 in giro per l’Europa, cercando di vincerli per mettersi in mostra. Il loro scopo è quello di riuscire a farsi vedere da qualche talent scout e cercare così di farsi ingaggiare da qualche club per poter uscire dalla povertà e tentare la fortuna.
La diversità delle motivazioni in campo si vedeva lontano un miglio, avevano una marcia in più fino a quando il tasso tecnico non denota i tuoi limiti e infatti la squadra del Lusaka è uscita ai quarti di finale con una super squadra Svedese.
Stesso discorso per le altre accademie. Tutte selezioni di ragazzi che cercano di mettersi in mostra per i numerosi osservatori venuti da tutta Europa per scovare qualche giovane talento e io sono certo che qualcuno di questi ragazzi sarà finito sul taccuino di qualche grande club, perché il livello era davvero alto, per la gioia dei quasi 10000 spettatori presenti allo stadio Ullevi Gamla.
Onestamente penso che la Gothia Cup sia un’esperienza che ogni mister e ogni ragazzo debba provare una volta nella vita. E’ costosa, ci vuole una programmazione assurda, mille cose da fare, sapere l’inglese è fondamentale, ci vuole un’organizzazione particolare per andare, ma alla fine tutti gli sforzi vengono ripagati.
Oggi chi mi chiede se ne è valsa la pena sbattersi per almeno 6 mesi per fare 10 giorni in Svezia rispondo:
“Si, assolutamente, è un’esperienza unica perché ho avuto la fortuna di seguire un gruppo di ragazzi davvero eccezionali dentro e fuori dal campo che non ci hanno mai dato problemi e che si sono sempre distinti in modo positivo”
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