Super Tele: “Ernst Happel – L’Austriaco del Calcio Totale”
INTRO
Il calcio moderno e la sua evoluzione sono figli di una storia a cerchi concentrici, che incrocia e
mescola la storia del gioco stesso e le tracce lasciate lungo il cammino da molti importanti
allenatori in epoche e luoghi diversi.Per comprendere meglio gli stili di gioco, i concetti e i principi contemporanei, spesso è utile
lanciare uno sguardo indietro e capire attraverso quali uomini si siano perfezionate tattiche e
idee che – nel corso dei decenni – sono via via germogliate, attraversando anche involuzioni e
critiche, portando al calcio così come lo intendiamo oggi.
Rivivere le loro gesta, raccontare da vicino i momenti più importanti della loro carriera, è un
modo per comprendere da vicino quante diverse suggestioni influiscano su metodologia,
spettacolo e risultati.Ernst Happel oltre a essere stato uno dei più vincenti allenatori di sempre, è stato un uomo
dedito a perfezionare i dettami del calcio totale olandese.
Quattro anni dopo la finale tedesca, l’Olanda riparte con un austriaco in panchina.
Si chiama Ernst Happel ed è uno dei più straordinari tecnici della storia di questo sport.
Prende in mano la guida e l’eredità visionaria di Rinus Michels, che ha portato la squadra beat del ’74 capitanata da Cruyff, libertina fuori dal campo e spumeggiante dentro, sino allo sfortunato epilogo tedesco.
Happel è nato a Vienna e di Mondiali ha già avuto esperienza quando indossava le scarpe coi tacchetti da calciatore.
Nel 1954 infatti ha indossato la maglia numero 3 dell’Austria quando dopo la Battaglia di Losanna contro i padroni di casa della Svizzera gli austriaci riescono a conquistare un ottimo terzo posto. Un anno dopo il breve torneo mondiale del 1958 chiude la carriera da giocatore per mettersi a sedere in panchina. La sua avventura da coach comincia da una città costiera sul mare del Nord.
Happel firma il contratto con il club olandese Den Haag e inizia il suo percorso nei Paesi Bassi.
È qui, nella terra dei tulipani, che Happel apre la sua bottega calcistica.
Un vero laboratorio dove ideare tattiche e rivedere mille volte ogni particolare per poter diventare uno degli allenatori più titolati di sempre.
Studia un calcio aggressivo e intenso, fuma molte sigarette e si interroga in modo quasi maniacale sulle possibilità di migliorarsi dopo ogni sconfitta.
Nel giro di sei anni conduce il club alla Coppa nazionale e nel 1969 è pronto ad accomodarsi dalle parti di Rotterdam, sponda biancorossi del Feyenoord.
A San Siro, dopo un cammino incredibile, conquista la Coppa dei Campioni contro il Celtic, la prima storica volta per un club olandese. Col Feyenoord vince anche lo Scudetto e la Coppa Intercontinentale.
Vincerà poi i campionati in 4 Paesi diversi alla guida di Bruges, Amburgo e Swarovski Tirol, bissando anche lo straordinario successo della Coppa dei Campioni sempre durante l’esperienza tedesca.
Costruisce squadre che si fanno notare per il gioco offensivo.
Spesso ribadirà di preferire una vittoria per 5-4 rispetto a uno striminzito 1-0.
Di poche parole, allena mixando disciplina asburgica e irriverenza olandese.
Crede nella resistenza e nella classe degli interpreti, lo incantano i giocatori capaci di leggere in anticipo le situazioni di gioco.
Fine tattico, capace di schierare le sue squadre con sistemi duttili, tenta sempre di dare forma a un contesto organizzato dove sono le idee di gioco le primarie protagoniste.
Quando prende in mano la Nazionale olandese capisce subito di dover mettere la sua impronta sul “Calcio Totale”, per riuscire nell’intento di far evolvere ulteriormente il gioco straordinario degli Orange, cercando di implementare i concetti di velocità e potenza.
Il pressing forsennato diventa la chiave di volta su cui scrivere un nuovo spartito.
In spogliatoio rispetta i suoi uomini ma mantiene le distanze dovute ai reciproci ruoli.
A Muller, che desiderava confrontarsi col proprio allenatore, un giorno dirà che se voleva tanto parlare poteva scegliersi una carriera da venditore. «Io voglio solo calciatori.»
Si presenta però in Argentina senza il suo miglior attore.
Cruyff è infatti a casa, lontano dai campi sudamericani. A strappare la maglia numero quattordici più famosa sotto al naso del pubblico di tutto il pianeta è un fatto di cronaca che pochi mesi prima della trasferta mette in agitazione tutta la famiglia di Johan e impedisce all’asso di partecipare al Mondiale. Siamo a Barcellona, dove Cruyff gioca con la maglia blaugrana.
Una sera alcuni criminali irrompono nella villa del giocatore e tentano un sequestro che fallisce per un soffio. La notte è terribile. I banditi puntano i fucili alla testa e i coniugi vengono legati di fronte ai propri bambini.
Nelle settimane successive la vita della famiglia Cruyff è stravolta. Guardie del corpo, poliziotti che accompagnano i figli a scuola, controlli serrati. Lo shock è talmente grande che porta Johan a pensare di abbandonare il calcio. Lo stress opprimente lo spinge a rinunciare clamorosamente al Mondiale.
Happel non si perde d’animo e riesce a fare di necessità virtù. Nella rosa dei ventidue ci sono comunque talenti del calibro di Neeskens e Rep.
In realtà l’Olanda si presenta al debutto con ventuno giocatori perché all’ultimo momento il difensore Hovenkamp è costretto a rinunciare e il tempo per effettuare cambi nella selezione è già scaduto.
I Tulipani sono accreditati fra le squadre favorite. Quattro anni prima hanno impressionato gli occhi di tutti gli spettatori e la spina dorsale della squadra è rimasta invariata.
Happel aggiunge un tocco di rigore e solidità per cercare l’impresa di conquistare il titolo.
L’inizio a Mendoza è agevole. Basta una tripletta in scioltezza di Rensenbrink per liquidare l’Iran alla sua prima partecipazione assoluta.
Quattro giorni dopo la rivelazione Perù stoppa sullo 0-0 gli olandesi che si qualificano col brivido: nella terza partita infatti Rep e compagni vengono sconfitti per 3-2 dalla Scozia e passano il turno solo come secondi grazie a una differenza reti favorevole.
Nella seconda fase a gruppi l’Olanda affronta un campionato europeo in miniatura di livello straordinario.
La musica cambia e il passo dei tulipani diventa debordante.
Di fronte alla sua Austria, Happel si gode uno straripante successo per 5-1, mai messo in discussione e timbrato dalla doppietta di Rep.
Il secondo incontro propone l’occasione per una storica rivincita contro la Germania Ovest, carnefice dei sogni olandesi quattro anni prima.
I tedeschi dopo tre minuti passano in vantaggio, ma gli arancioni non mollano e con pazienza pareggiano grazie a un gol di Haan.
Il solito terribile Muller a venti minuti dalla fine mette a segno la rete che potrebbe diventare pesantissima per l’accesso alla finale ma ci pensa René van de Kerkhof a ristabilire ancora una volta la parità e chiudere il match sul due a due.
La sfida che completa il girone diventa una semifinale a tutti gli effetti. Sulla strada dell’Olanda ecco la giovane ed effervescente Italia di Enzo Bearzot, in grado di battere al primo turno persino i padroni di casa dell’Argentina e terminare addirittura in testa al girone.
Si gioca al Monumental di Buenos Aires, l’incontro è diretto dallo spagnolo Martinez.
Happel ha il vantaggio della differenza reti e può gestire la gara dal momento che basta un pareggio agli olandesi per accedere alla finalissima.
Dopo venti minuti però un’autorete di Brandts porta in vantaggio gli Azzurri e l’Olanda è costretta a inseguire. Tocca allo stesso Brandts nella ripresa pareggiare e a quindici dallo scadere è un tiro da lontano di Haan a ingannare Zoff – complice gli svolazzamenti imprevisti del “Tango”, il pallone ufficiale della manifestazione – e a chiudere definitivamente la partita sul 2-1.
L’Olanda è pronta per la seconda volta in pochi anni a giocarsi il titolo mondiale.
Di fronte ancora una volta i padroni di casa ma questa volta la divisa è quella albiceleste dell’Argentina di Menotti.
Al Monumental di Buenos Aires un intero popolo accorre sugli spalti. Oltre settantamila persone compongono la marea umana che con un incessante frastuono cerca di spingere la propria Nazionale al titolo. Le giacche arancio fluo con cui fanno ingresso in campo i giocatori olandesi sembrano un pugno di luce che vuole ricacciare indietro la spinta del pubblico di casa.
Kempes e compagni escono dagli spogliatoi e raggiungono il terreno di gioco solo dopo alcuni minuti degli avversari.
I ragazzi di Happel stanno fuori da soli per alcuni interminabili attimi, giusto per sentire l’aria che tira.
Al momento delle canoniche strette di mano Ardiles sussurra qualcosa all’orecchio del capitano Passarella, il quale riferisce subito a Menotti.
Prima del calcio d’inizio ecco che scatta il blitz. Gli argentini contestano con riserva all’arbitro italiano Gonella la fasciatura del 10 olandese van de Kerkhof.
Il vistoso bendaggio è considerato pericoloso e contundente dai padroni di casa.
Gli olandesi perdono per un attimo la fredda calma che li contraddistingue e spazientiti minacciano – dopo alcuni momenti di contrattazione a centrocampo – di abbandonare la gara.
Il Monumental rumoreggia e continua imperterrito a far piovere bianchi coriandoli in ogni angolo.
Leggenda narra che mister Ernst, dai modi silenziosi, prima del match abbia evitato alcun discorso motivazionale carico di emotività riferendo semplicemente ai suoi giocatori: «Signori, oggi dobbiamo fare due punti.» (all’epoca la vittoria valeva infatti due punti).
Ecumenico, saggio, democristiano o pilatesco. Si possono trovare mille aggettivi per il direttore di gara, che mette d’accordo entrambe le squadre scegliendo di far sostituire e modificare la fasciatura del giocatore olandese in maniera più leggera.
Dopo queste schermaglie la partita può finalmente cominciare, ed è subito aspra, intensa, con alcuni interventi davvero al limite del regolamento.
A fine primo tempo l’Olanda è sotto per colpa di un gol messo a segno da Kempes.
Happel durante l’intervallo tenta di abbassare la tensione, rimettere ordine fra le proprie idee e negli animi dei suoi giocatori mentre riflette su come sparigliare il tavolo.
Dopo alcuni minuti del secondo tempo toglie con coraggio e personalità Rep e inserisce la torre Nanninga. È una finezza tattica.
L’Olanda continua a macinare gioco e a otto minuti dal termine trova il pareggio con uno splendido colpo di testa di Nanninga che strozza l’urlo in gola ai padroni di casa.
L’ansia paralizza gli argentini e a tempo praticamente scaduto il dio del calcio balla il tango e sgambetta sulla pista i ragazzi di Happel a un passo dal bacio al trofeo più ambito.
Su un lancio lungo della difesa olandese la retroguardia argentina è distratta e mal posizionata.
Il pallone rimbalza in area, il portiere esce, Rob Rensenbrink mette l’esterno destro e la palla finisce a stamparsi sul palo per ritornare sui piedi dei difendenti che spazzano.
È la seconda, pazzesca, sfortunatissima fine dei sogni di gloria arancioni.
Il suono del palo è infatti quello del ko.
Ai supplementari i redivivi argentini trovano le energie mentali e la forza per chiudere i discorsi con i gol del solito mattatore Kempes e di Bertoni.
A un soffio dal titolo più grande Happel dopo il Mondiale riprende la strada del pallone, e ricomincia a impostare calcio ad altissimi livelli.
Vince la Coppa dei Campioni con l’Amburgo e prima di morire ha giusto il tempo di assaporare per qualche mese la panchina di commissario tecnico della sua Austria, dove tutto era iniziato e dove aveva imparato sin da ragazzino che “un giorno senza calcio era solo un giorno perso.”
Frasi Celebri:
“Se marchi uomo contro uomo, stai mandando in campo undici asini.”
“Non sono amico dei giocatori, lavoro mantenendo sempre una certa distanza.”
“La gente ama un giocatore con idee, perché alla fine della giornata vogliono divertirsi. Il calcio è un gioco, ed è normale debba essere divertente.”
Credit Immagine: https://www.rtr.ch/emissiuns/il-chavazzin-dal-di/ernst-happel