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L'Angolo dell'Allenatore

Studio sul ritardo della consapevolezza

6 Dicembre 2021

Tempi di risposta inconsapevole a uno stimolo e di presa di coscienza dell’atto motorio

In questo articolo presento il mio ultimo studio, una nuova proposta di ricerca che si pone come confronto evolutivo verso gli studi del passato di Benjamin Libet sul ritardo della consapevolezza di un atto motorio rispetto l’atto stesso.
Si parla di neuroni specchio, di numeri sui tempi di reazione inconsapevole ad uno stimolo e di presa di coscienza dell’azione motoria. Numeri dimostrati attraverso un lavoro di tesi e validati da enti neuroscientifici, che evolvono le
tesi del neurofisiologo statunitense contestualizzandole nello sport del calcio e nell’epoca contemporanea.

Sulla base di queste conoscenze viene allora ideato un metodo di allenamento capace di garantire il buon funzionamento del meccanismo mirror, sviluppando le funzioni cognitive che permettono al calciatore di rispondere correttamente e immediatamente a uno stimolo sotto pressione.

Un metodo che allena non la memoria ma l’esperienza, non la scelta ma l’istinto.

Tutto questo in uno studio che mi piace considerare come custode di idee che viaggiano sulla frontiera delle idee e del progresso.

La teoria sul ritardo della consapevolezza fu sviluppata dal neuroscienziato e psicologo Benjamin Libet (USA, 1916-2007). Benjamin dimostrò, attraverso un sistema di rilevazione basato sul potenziale di scarica dei neuroni, l’esistenza di un intervallo di 500 ms tra il compimento di un atto motorio e la presa di coscienza dello stesso atto.

Dal momento zero, secondo Libet passerebbero 110 ms per la ricezione dello stimolo e la realizzazione autonoma (inconsapevole) della risposta motoria, e 500 ms per la comprensione e per la totale consapevolezza dell’atto motorio, che si traduce con la capacità di raccontarlo.

Ciò significa che un giocatore che ha appena risposto a uno stimolo immediato, non è consapevole di ciò che ha fatto per mezzo secondo. È per tanto impossibile che abbia deciso in modo cosciente – ragionato – la propria giocata.

La realizzazione di un atto motorio all’interno di un’azione di gioco intensa, in cui la risposta allo stimolo deve essere immediata, come il riflesso di un portiere o una giocata sotto pressione, e non come un calcio piazzato o una giocata senza pressione, non deve infatti essere attribuita alle funzioni razionali (ragionamento consapevole), bensì alle funzioni neuronali (istinto inconsapevole).

I neuroni, ovvero le cellule del cervello, responsabili di questo comportamento motorio sono i neuroni specchio, scoperti nel 1988 dal gruppo di ricerca dell’università di Parma guidato da Giacomo Rizzolatti. La scoperta dei neuroni specchio ha portato alla nascita di una nuova grande frontiera del sapere scientifico, grazie soprattutto alla loro caratteristica peculiare: quella di attivarsi (produrre una scarica neuronale) quando codificano non tanto il movimento che il corpo eseguirà, bensì lo scopo dell’azione per cui si muove.

Se prima il sistema motorio veniva considerato come un mero esecutore dei movimenti, ora, con la codifica dello scopo dell’azione, assume una funzione d’ordine superiore, irrompendo nella dimensione cognitiva. Questa è la grande portata innovativa di questa scoperta.

Per di più, gli stessi neuroni specchio che si attivano durante il compimento di un’azione finalizzata (con uno specifico scopo), si attivano anche durante l’osservazione e l’immaginazione di un’azione con lo stesso obiettivo (tema interessante da approfondire anche in un percorso di riabilitazione da un infortunio, in quanto è possibile fare lavorare il sistema specchio anche senza l’attività motoria).

È per opera dei neuroni specchio che siamo quindi capaci di comprendere l’intenzione delle altre persone, grazie a cui possiamo vivere relazionandoci (riconosco l’azione dell’altro perché ne ho fatto esperienza). La nostra è una natura squisitamente sociale, ed è il meccanismo mirror a farci comprendere neurofisiologicamente il perché.

Da queste conoscenze, per cui il meccanismo specchio è al capo della risposta motoria inconsapevole, si deve allora creare un metodo di allenamento capace di garantire il buon funzionamento del loro sistema. Un metodo che alleni non il pensiero ma l’istinto, non la memoria ma l’esperienza. È infatti l’esperienza l’elemento cardine intorno a cui deve gravitare l’allenamento nel calcio, perché più si fa esperienza, che sia transitiva attiva (la pratica, quella con il valore maggiore), passiva (l’osservazione) o intransitiva (l’immaginazione), migliore sarà il riconoscimento dell’azione in corso da parte dei neuroni e maggiore quindi la loro conseguente attivazione. Esperienza intesa come attività che durante l’allenamento proponga il gioco con lo stesso scopo che si avrà durante la partita; il fine ultimo di ogni preparazione.

Il calcio è uno sport in cui vince (o dovrebbe vincere) chi controlla meglio il rapporto tra spazio e tempo. Lo scopo è quindi inscindibile dal contesto di gioco.

Allenare il sistema specchio nel calcio significa fare esperienza della partita attraverso attività specifiche che non solo ne ripropongono lo stesso obiettivo, ma anche gli elementi che creano il contesto in cui lo scopo deve realizzarsi (e che partita sarebbe altrimenti?). Parliamo dunque in virtù anche delle caratteristiche spazialmente selettive dei neuroni specchio, della realtà spaziale (ovvero delle dimensioni del campo in rapporto al numero di giocatori presenti) e del materiale presente, della presenza e del numero dei compagni, della presenza, del numero e del comportamento degli avversari (sparring partners) della presenza della palla, dell’orientamento, della transizione e della libertà di movimento spazio-temporale.

L’esercizio più allenante è quello che più di ogni altro presenta questi elementi, da cui si deduce facilmente che la coesistenza tra tutti rappresenta il momento della partita. In effetti è così: la partita è il mezzo più allenante.

Ogni volta che si riduce la sua complessità per far comprendere meglio il principio che si vuole allenare, si deve essere consapevoli che ad ogni diminuzione di uno di questi elementi cala sempre di più l’efficacia nell’attivazione dei neuroni specchio. Non hanno alcuna utilità allora tutti quegli esercizi in cui si ripete innumerevoli volte uno schema senza avversari. Non viene attivata alcuna classe neuronale, per cui durante la partita sarà impossibile al giocatore riconoscere, nell’azione in cui è inserito, il contesto dell’allenamento. Un contesto fittizio, troppo elementare di fronte alla complessità reale, illusorio, in cui si cerca di creare una memoria motoria, la cui esistenza peraltro viene fortemente dubitata dal neurofisiologo Nicolai Bernstein (URSS, 1896-1966), di fronte invece a una necessità di agire d’istinto. La verità è che il gioco è il miglior modo per allenare il gioco.

Sono le esercitazioni specifiche, transitive o intransitive, le quali permettono il buon funzionamento del sistema specchio, la strada attraverso cui approdiamo all’apprendimento motorio.

Preso atto di questo, però, il mio studio vuole tornare sulla teoria del ritardo della consapevolezza, dal quale è stato necessario sviluppare un metodo che allenasse non la memoria ma l’esperienza, non la scelta ma l’istinto.

Volendo dimostrare quanto teorizzato da Benjamin Libet, ho effettuato all’interno della Baiata Academy, servendomi dello strumento professionale BlazePod, luci colorate sensibili al tocco con margine di errore millesimale, 71 test di due tipologie diverse. La prima sui tempi di reazione di 19 giocatori nati tra il 2002 e il 2012, e la seconda sui tempi di presa di coscienza di 14 tra questi 19. Sottraendo poi dai tempi di presa di coscienza i tempi di reazione di ogni calciatore, il risultato mi ha mostrato un’altra verità: il ritardo della consapevolezza medio non è di 500 ms, bensì di 162 ms, ben 3,09 volte inferiore a quanto dimostrato da Benjamin Libet.

I test sono stati così condotti. La misura dei tempi di reazione è stata presa in ripetute prove in cui venivano posizionate su di un piano quattro pods attive, che cambiavano colore al tocco della luce arancione. Sono stati registrati per ogni prova, della durata di un minuto, il numero di tocchi giusti e sbagliati e i millisecondi che in media intervallavano tra un tocco e quello successivo della luce arancione. Gli errori fatti, presenti nel 64,86% dei test, non hanno costituto nessuna penalizzazione aggiunta in quanto sono stati già di per sé penalizzanti, siccome il tempo è stato conteggiato solamente con il toccare della luce arancione. Il risultato finale, ottenuto con 50 test, dice che il tempo medio di realizzazione autonoma (inconsapevole) della risposta motoria è di 518 ms, di fronte ai 110 ms di Libet (4,71 volte superiore).

Andamento del test con il miglior tempo di reazione (439 ms), ottenuto da N.T., classe 2008.

Ogni punto nel grafico equivale a un tocco della luce arancione.

Il secondo test poi, quello sui tempi di presa di coscienza, è stato provato 19 volte su 14 ragazzi (la cui media del tempo di reazione è leggermente superiore alla media totale di 518 ms, ovvero 523 ms). Questo consisteva, sempre con la stessa disposizione delle luci e sempre in un minuto, nel toccare più velocemente possibile la luce arancione, specificando però verbalmente dopo ogni tocco se la luce si trovava a sinistra, al centro o a destra. In questo modo potevamo provare che il ragazzo aveva raggiunto piena consapevolezza di ciò che aveva fatto, divenendo capace di ragionarci e di raccontarlo. Se così non fosse stato, non sarebbe riuscito a indicarci la posizione della luce. Il test poteva proseguire solamente dopo che ci era stata detta la posizione corretta. In caso di errore il giocatore doveva fermarsi, ragionarci e dirci la soluzione esatta.

Il fattore del caso viene pressoché azzerato in quanto, di fronte ai sempre più di 100 tocchi effettuati in ogni prova, poteva succedere che il giocatore ci desse inconsapevolmente la risposta giusta non più di un paio di volte, ovvero meno del 2% delle volte.

Il risultato finale mostra una media totale di 685 ms necessari per prendere coscienza del proprio atto motorio, poco maggiore (1,12 volte) dei 610 ms teorizzati da Libet.

Andamento del test sul tempo di presa di coscienza di N.T., il giocatore con il miglior tempo di reazione in una singola prova. Il record in questo test appartiene invece a N.P., classe 2004 (474 ms).

Grazie a questi dati sono poi giunto all’esito cercato, quello del ritardo della consapevolezza, che è risultato essere mediamente di 162 ms, con il caso monstre di 69 ms (7,24 volte meno rispetto a 500 ms), ottenuto da N.P., giocatore classe 2004, lo stesso che ha ottenuto su sette test il miglior risultato medio (461 ms) in termini di tempo di reazione.

Tra i ragazzi testati, quello che invece presenta il ritardo della consapevolezza maggiore è B.B., classe 2009, con un tempo medio di 286 ms, che è pur sempre 1,75 volte inferiore ai 500 ms citati da Libet.

Nel grafico vengono confrontati i risultati del mio personale studio con quello di Benjamin Libet.

Il risultato è chiaro. Il mio studio dimostra che il tempo intervallato tra il momento zero e la realizzazione inconsapevole della risposta motoria, ovvero il tempo di reazione, è notevolmente maggiore rispetto a quello dello studio di Libet (4,71 volte).

Allo stesso tempo è chiaramente inferiore (3,1 volte) il tempo utile a prendere atto di ciò che si è fatto, ovvero a diventare consapevoli della propria azione.

Sommando i due dati si deduce infine che il tempo totale tra il momento 0 e il raggiungimento della consapevolezza di ciò che è accaduto, è leggermente superiore nel mio studio rispetto a quello di Libet (1,12 volte). Questi numeri hanno però bisogno di un’ulteriore specifica. I tempi di reazione inconsapevole e immediata sono stati calcolati con una media di circa 510 ms.

Questo risultato dipenderà poi effettivamente, durante l’attività motoria, oltre che dal fattore genetico (reattività intrinseca), ovviamente molto anche dall’esperienza (più esperienza porta ad abbassare il tempo di risposta). Numeri che possono poi subire una variazione di fronte ad alcune specifiche, come per esempio la complessità della situazione in cui ci troviamo: più il contesto è complesso (e nel calcio, così come in ogni sport in cui si relazionano molti giocatori, la complessità è a buoni livelli) più sarà impegnativo il lavoro di riconoscimento dello scopo, e quindi più lungo il tempo di reazione.

La stessa cosa di fronte a un diverso livello d’attenzione, che è direttamente proporzionale alla prontezza di ricezione dello stimolo e quindi di attivazione del meccanismo mirror. In sostanza, numeri variabili e diversi da quelli presentati da Benjamin Libet.

Quello che i risultati dei miei test vanno delineando non è un’accusa nei confronti degli studi del passato, quanto piuttosto una nuova proposta di ricerca.

La mia tesi e quella di Libet non sono sovrapponibili: il punto critico tra le due s’identifica in un campionamento troppo diverso, per il numero di test, per la situazione e per l’epoca di realizzazione. Nel caso di Libet non abbiamo informazioni ben precise su chi è stato testato, mentre nella mia ricerca la variabile controllata rappresenta un preciso contesto (il gioco del calcio) e un target specifico: 19 giocatori di calcio, maschi, di squadre professionistiche, tra i 9 e i 19 anni. L’unica cosa che non possiamo controllare sono le variabili indipendenti, ovvero lo stato fisico e mentale del giocatore durante il test (era emotivamente in uno stato ottimale? Era idratato? Aveva dormito correttamente?). Tutto il resto lo sappiamo.

Possiamo avere una specificità di analisi molto alta, approfondendo singoli casi, come per esempio quello curioso dato da due dei tre giocatori con la media migliore nei test sul tempo di reazione: il già citato N.P. e A.L., classe 2006. Ai due si aggiunge poi A.F., classe 2009, secondo solo a N.P. nel minor ritardo della consapevolezza (84 ms di ritardo). Tutti e tre, infatti, presentano una lateralità crociata, cioè sono mancini di piede e destrimani (differentemente dalla lateralità definita, in cui si ha il piede forte sullo stesso lato della mano preferita). Dato interessante se si pensa che le vie motorie funzionano secondo un sistema crociato: quando si muove il piede sinistro l’area neuronale che si attiva si trova nell’emisfero destro del cervello, mentre quando si muove la mano destra si attiva l’emisfero sinistro. In questo caso la loro lateralità crociata potrebbe essere un motivo di maggiore reattività e di minor ritardo della consapevolezza. N.T. invece, il classe 2008 che ha registrato il miglior tempo di reazione in una singola prova, presenta, come tutti i rimanenti giocatori testati, una lateralità definita (piede destro-mano destra).

Nonostante tra i due studi non vada attuato un aut aut (l’esclusione di uno in favore dell’altro), è interessante riconoscere come non si debba mai ancorarsi a priori a delle evidenze presunte certe. Dubitare della loro validità assoluta permette di impostare i presupposti per avanzare la ricerca. I suoi numeri sono veri, certo. Ma sono veri in modo assoluto? Da questa domanda sono nati i risultati presentati, grazie a cui siamo in grado di offrire ora un confronto evolutivo con una migliore specificità di campionamento. Quello che in tutti i casi non cambia è il metodo di allenamento costruito come conseguenza degli studi di Libet e di Rizzolatti sui neuroni specchio.

Per quanto il ritardo della consapevolezza possa essere inferiore ai 500 ms dimostrati dal neurofisiologo statunitense, esiste comunque sempre. Quello che importa all’interno dello sviluppo del metodo non è quanto ritardo ci sia, ma il fatto che ci sia o meno il ritardo, ed entrambi i nostri studi dimostrano la sua presenza.

Infine, dobbiamo porci una domanda: anche al netto della possibilità spazio-temporale (il gioco lo permette), siamo sempre disposti a un’attivazione del sistema razionale a scapito di quello istintivo? La risposta è no.

Abbandonarsi a una risposta meccanizzata ci permette di liberare la carica di pensiero per agire in modo automatico, cosa non di poco conto di fronte a un momento di stanchezza fisica e mentale. Nonostante abbiamo lo spazio e il tempo per pensare, ci lasciamo volontariamente guidare dall’istinto perché non abbiamo l’energia per compiere un ulteriore sforzo razionale.

Oltre alla dimensione extra-personale data dal contesto (il rapporto tra noi e l’ambiente), entra in gioco anche quella intra-personale, intesa come il rapporto tra mente e corpo. Ennesima riflessione che porta ad estendere ulteriormente il campo d’azione del metodo di allenamento creato. Un metodo nato sulla base di un ritardo tra il compimento di un atto motorio come risposta a una situazione di pressione e la presa di coscienza dell’atto stesso. Un ritardo che contiene in sé un’unica verità: non c’è tempo per il pensiero.

Ciò che va allenato è l’istinto, e lo si fa attraverso l’esperienza che, servendosi del sistema specchio, permette di riconoscere le azioni e le relative intenzioni, le quali permettono l’attivazione delle classi neuronali interessate.

Il sistema specchio è con certezza il più importante fattore nell’apprendimento e nell’esecuzione motoria finalizzata.

Foto: https://aeon.co

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