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Creatori di metodo

Caos calmo. Alla ricerca del margine

11 Maggio 2023

Lo scrittore e storico americano Henry Brooks Adams, nel suo libro pubblicato nel 1907 dal titolo “The education of Henry Adams”, scrisse che “Il caos spesso genera la vita, laddove l’ordine spesso genera l’abitudine” (in lingua originale, “Chaos often breeds life, when order breeds habit”).

Nelle righe che seguono mi sono ripromesso di cercare di mettere un po’ di ordine, anzi di generare un po’ di caos, in quella che ritengo essere una delle antinomie più importanti, ma meno studiate, del gioco del calcio: quella tra ordine e caos. È possibile arrivare, o almeno tendere, ad una soluzione educativa – propositiva che cerchi di trovare il giusto connubio, le giuste connessioni tra due concetti che sembrano escludersi vicendevolmente? Che sembrano essere l’uno la negazione dell’altro, per cui l’uno non può esistere nella misura in cui esiste l’altro? E quindi, calando il discorso nella realtà del nostro sport, è possibile prevedere e proporre un modello di gioco che sia talmente fluido da saper coniugare l’ordine con il caos e viceversa?

Per dare risposta a questi quesiti è bene rivolgersi innanzitutto alla storia del pensiero pedagogico, laddove le antinomie (formali, pratico – teoriche o pratico – educative) si sono spesso presentate come problemi le cui risoluzioni non sono sempre sfociate in una reciproca esclusione dei due concetti posti a confronto. In questo senso, come afferma il pedagogista Giovanni Maria Bertin [1], adottare una metodologia di analisi che da un lato riconosca e apprezzi le specificità antinomiche, ma al tempo stesso studi anche le reciproche connessioni tra due poli concettuali di distanza estrema può portare innumerevoli vantaggi; proprio perché in medio stat virtus. Ed ecco che quindi procedere per antinomie significa non solo quanto poc’anzi detto rispetto agli estremi, che sono di per loro natura immutabili, ma significa anche e piuttosto costruire e prefigurarsi una zona di mezzo tra gli stessi all’interno della quale ricercare le possibili contaminazioni, così da rendere più ricca possibile di significati e prospettive questa zona di mezzo senza rinunciare all’uno e all’altro concetto.

? [1] G. M. Bertin, Progresso sociale o trasformazione esistenziale, antinomia pedagogica, Liguori, Napoli 1981

È innegabile che la relazione antinomica tra ordine e caos tenda l’asticella della sua manifestazione estrinseca verso il caos: come già splendidamente evidenziato dallo studioso Gregory Bateson [2], qualsiasi sistema vitale tende al disordine, dal momento che attorno a noi c’è più disordine che ordine (l’origine stessa della Terra sembra potersi ricondurre ad un evento di disordine, o si pensi addirittura al famoso incipit di Esiodo “In principio era il caos”). Questo perché a fronte di un solo possibile stato di ordine, esistono infiniti stati di caos possibili: ciò comporta, a cascata, che anche il comportamento umano sia naturalmente tendente a questa direzione, escludendo quindi di fatto la possibilità di avere un controllo assoluto sugli eventi.

? [2] G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1998.

Tuttavia, è bene ricordare che ci sono anche in natura dei sistemi complessi che generano altrettanto spontaneamente e naturalmente stati di ordine: si pensi ad esempio alla bellezza geometrica di un fiocco di neve dei reticoli di un diamante. Come per il caos, tanto per l’ordine questa tendenza si verifica talvolta anche nell’essere umano: l’esigenza di dare un ordine di livello maggiore a ciò che percepiamo si manifesta in insiemi organizzati e strutturati secondo forme ben stabilite, che risultano essere qualcosa di diverso dalla semplice somma delle parti che le costituiscono; insiemi che altrimenti sarebbero totalmente privi di organizzazione.

Questa tensione prettamente umana di dare ordine al caos rappresenta un tentativo quasi intimo di ognuno di noi di cercare di comprendere e maneggiare contesti che altrimenti di per sé sarebbero infiniti, ma soprattutto indefiniti. Ma se l’indefinito è la situazione di partenza, allora sarebbe presuntuoso pensare che il punto di arrivo sia per forza il definito che, come si diceva poc’anzi, è unico e finito: è quindi necessario accettare che qualsiasi fenomeno sottoposto ad un processo di organizzazione tenderà comunque verso il disordine anche dopo essere stato minuziosamente ordinato.

Dal mio punto di vista, l’obiettivo sarà quello di riempire quella zona intermedia tra i due poli con la conquista di un apprezzamento estetico di quel caos che non dovrà essere inteso per forza come assenza di ordine, vuoto e immaturo, ma come deviazione da quel concetto di kosmos greco (come un sistema ordinato o armonico) che genera esso stesso bellezza per la sua imprevedibilità; un po’ come quando in montagna facciamo una deviazione dal sentiero battuto e sicuro per ammirare un panorama bellissimo che altrimenti ci saremmo persi.

Il caos è un insieme di eccezioni che non trovano nessuna regola che le confermi.

Fabrizio Caramagna

Fatte queste doverose premesse, veniamo ora ad analizzare se e in che misura queste considerazioni possono essere utili ad un allenatore di calcio.

È ormai opinione condivisa che il nostro gioco possa essere ricondotto ad un sistema complesso ma non complicato. Complesso in quanto caratterizzato da una struttura a rete, con continue interazioni tra numerosi elementi, e da feedback; cioè con la retroazione per cui ogni effetto influenza a sua volta, e come in un loop, la sua causa.

Sarebbe invece sbagliato o quanto meno riduttivo definirlo complicato, laddove si fa riferimento ad un singolo elemento, anche se composto da molte parti che tuttavia, se spiegate, possono spiegare anche il singolo, in quanto componenti del tutto.

La caratteristica più interessante dei sistemi complessi è il fatto che, pur essendo la loro evoluzione ipoteticamente prevedibile, dall’altro lato è anche vero che l’influenza di piccoli cambiamenti può avere un impatto decisivo sull’insieme, rendendoli quindi di fatto imprevedibili (vedi l’effetto farfalla di Edward Lorenz, 1979).

Le statistiche ci dicono che circa il 20% dei gol sono frutto non tanto di trame di gioco organizzatissime, di palle inattive o di schemi ben consolidati, ma piuttosto di situazioni imprevedibili, come un retropassaggio sbagliato, un rimpallo, un contrasto (si pensi ai cosiddetti “gol moderni”, ad esempio). Sono quindi frutto di una situazione inattesa e quasi sempre incontrollabile. Tuttavia, queste situazioni inattese si manifestano lungo tutto il corso della partita, non solo in occasione dei gol; a fungere quasi da carburante che tiene in moto e alimenta lo svolgersi stesso della gara.

Come si diceva sopra, infatti, essendo la partita un sistema complesso, esso tende naturalmente a creare situazioni di caos, con le quali i giocatori devono sapersi confrontare, misurare e in ultima istanza dalle quali devono saper trarre più vantaggi possibili per la propria squadra: risolvendo il caos e riportandolo all’ordine, oppure approfittando e talvolta generando quel caos stesso al fine di scardinare l’ordine prestabilito.

Pensiamo ad esempio al caso delle transizioni: una squadra che ha appena recuperato palla e si porta velocemente in transizione offensiva, dovrà essere brava a generare il caos per poter avere un’alta aspettativa di finalizzare in gol la transizione. E come farà a generare questo caos? Organizzandosi il più velocemente possibile per trovarsi appunto nelle condizioni di mettere in crisi la difesa avversaria attraverso qualcosa di imprevedibile. In questo senso, la squadra che si trova invece a dover effettuare una transizione difensiva dovrà invece essere più veloce possibile ad organizzarsi per contrastare efficacemente la transizione avversaria. Come? Riconducendo il caos che stava cercando di generare nel momento in cui ha perso palla al massimo ordine possibile, al fine di difendere il più efficacemente possibile la porta; avendo come fari nella notte quei punti di riferimento mobili dati da palla, compagni e avversari.

Si capisce quindi che, nel caso delle transizioni, caos e ordine sono così intimamente legati tra loro da essere quasi l’uno necessario e condizione dell’altro, coesistendo in quella fluidità di manovra che potrebbe determinare il successo o meno dell’azione di gioco (sia essa offensiva o difensiva).

Si pensi invece alla situazione in cui una squadra decida di difendere creando grande densità in zona palla, ad esempio la Lazio di Maurizio Sarri. Ciò a cui mira chi cerca il recupero della palla (in questo modo) è proprio la volontà di creare scompiglio e pressione nei portatori di palla avversari, al fine di indurli a mettere in crisi il pattern ordinato della squadra in possesso e creare così le condizioni immediate – anche attraverso smarcamenti offensivi preventivi – per la transizione offensiva. Quindi, cercare di creare disordine e caos in un sistema che invece sta scorrendo (e mi riferisco alla squadra in possesso palla) in una situazione di ordine e precisione al fine del mantenimento del possesso palla alla ricerca della possibilità di finalizzazione.

Ancora, si pensi a quelle partite in cui, complice uno squilibrio tecnico importante tra due squadre, una si difende al limite della propria area di rigore, e una invece tenta in tutti i modi di trovare spazi per andare alla ricerca del gol (di partite di questo genere se ne assistono molte anche nei campionati giovanili). Alla squadra in difesa sarà sufficiente apportare il massimo livello di ordine per contrastare le iniziative avversarie e magari portare a casa un prezioso pareggio (magari al grido di “spazzala!” non appena entra in possesso palla). La squadra in attacco, invece, dovrà ingegnarsi al fine di fare breccia nel muro eretto dalla difesa, cosa che potrà avvenire solo tramite un’azione non-ordinata che possa mettere in crisi l’ordine della difesa (il famoso “colpo di genio”, la giocata personale, il tiro da fuori area all’incrocio dei pali…).

Venendo ai singoli, si pensi poi a quell’eterna diatriba tra i giocatori in grado di generare caos e giocatori in grado di creare ordine; per fare qualche nome altisonante: da un lato ai vari Rafael Leao, Neymar, Messi, e dall’altro ai Modric, Xavi, Iniesta. Forse è vero che i primi rubano l’occhio, accendono le folle facendoci amare dannatamente questo sport per la bellezza di alcuni loro gesti, ma cosa sarebbero i primi se i secondi non li mettessero in condizione di esprimersi attraverso rifornimenti precisi, ordinati, in zona gol, isolando l’1v1? Quanta altrettanta bellezza si può trovare all’interno di un lancio millimetrico di 50 metri alla cieca (possibile proprio perché inserito in un contesto ordinato)?

Quelli che ho prospettato sono solo alcuni dei momenti e delle situazioni in cui la dicotomia caos – ordine si manifesta nell’arco della gara, ma ve ne sono infiniti (proprio perché infinite sono le manifestazioni del caos e quindi sempre suscettibile di manifestarsi).

Quanto detto finora vale dai massimi livelli alle categorie giovanili, dove addirittura, per certi aspetti, il fattore di imprevedibilità è perfino più accentuato e incline a manifestarsi, alla luce della minor competenza tecnica; fattore esso stesso da tenere in considerazione come causa di imprevedibilità.

Dove si situa l’allenatore di calcio giovanile in questo contesto così mutevole? O meglio, come può l’allenatore sfruttare la dicotomia caos – ordine per trasmettere nozioni utili ai giocatori, considerato che, come sopra detto, questa continua alternanza e finanche coesistenza non è escludibile da un sistema complesso?

Sgombro subito il campo: in medio stat virtus.

Quanto dura un vantaggio?

Ci sono allenatori che fanno dell’organizzazione tattica il loro mantra. Allenando più per schemi che per principi ritengono di poter modellare la squadra a loro immagine e somiglianza, ingabbiando il tutto non tanto nel modello di gioco, quanto nel modulo; ecco allora che pensieri moderni come quello delle funzioni a discapito dei ruoli, del continuo interscambio dei giocatori, dell’1v1 a tutto campo sia in fase offensiva che in difensiva, rischiano di essere sacrificati all’altare della scrupolosissima osservazione dei codici palla, delle palle inattive e dei ruoli immutabili. Troppo spesso, nei campionati giovanili di tutte le età, si vedono squadre così perfettamente organizzate che poi, alla prima difficoltà e al primo soffio di vento contrario, rischiano di crollare. Si vedono squadre di Pulcini che preparano uscite dal pressing dal basso così ben congeniate e riprovate in allenamento che poi, alla prima buca del terreno, i ragazzi si rivolgono all’allenatore con uno sguardo misto tra il terrore e la richiesta di aiuto.

Quello che non viene considerato in questo modello di pedagogia è che questo ordine che si costruisce con tanta fatica, è destinato a cadere e sfasciarsi sotto i colpi di eventi inattesi e imprevedibili ai quali i giocatori rischiano di non saper far fronte, perché mai sperimentati in allenamento. In questo senso l’11 contro 0, se non adeguatamente contestualizzato (cosa sicuramente possibile), è l’apoteosi della costruzione di un ordine di gioco pre-stabilito, di un canone di prestazione che esiste però solamente nella testa e nelle speranze dell’allenatore; così come la ha proposto, perché non tiene conto di una serie infinita di variabili (fattori imprevedibili, sia statici che dinamici) ai quali l’ordine non è in grado di far fronte in un’ottica auto conservativa, senza l’apporto di chi quell’ordine è in grado di generarlo: cioè i giocatori.

Se questa impostazione risulta essere troppo confezionata e non tiene conto delle variabili del gioco, dall’altro lato un’eccessiva confidenza nel fattore casuale e imprevedibile, nonché nella completa libertà del singolo all’interno del sistema (o sottosistema), rischia di essere a-contestualizzato rispetto a quello che è il gioco, ossia un gioco di squadra fatto di principi (non di schemi) in parte individuali, ma anche collettivi. Si pensi ad esempio al caso in cui la squadra sia sotto di un gol a cinque minuti dalla fine: molto spesso si abbandona qualsiasi tipo di principio e si cercano giocate improbabili e confuse, avulse dal modello di gioco, in nome della speranza di creare un’occasione da gol. Se pur raramente questo tipo di soluzione porta ad una rete (potrebbe, ma non con frequenza elevata o tale da giustificarne un uso a prescindere), la percezione che abbiamo è che affidandoci al caso “qualcosa possa succedere”. In questo senso, l’incapacità di controllare il caos potrebbe portare a situazioni confusionarie, a situazioni di prese di decisioni dettate non tanto dalla capacità di fare la cosa giusta nel momento giusto (tattica), ma piuttosto dalla testardaggine o dal protagonismo del singolo.

Ma allora dove sta la sintesi?

Se è vero che l’organizzazione è dei giocatori e l’organizzare è dell’allenatore [3], allora ritengo che all’interno della parola organizzare vadano conciliate le due anime antinomiche del gioco: l’allenatore deve essere in grado di trasmettere ai suoi giocatori quei principi che possano aiutare i ragazzi ad essere in grado di comprendere i momenti del gioco, a padroneggiarli e soprattutto a reagire agli stessi. Mettendo da parte le codifiche, i principi di gioco permettono al ragazzo, in un ambiente che potremmo definire “circoscritto” dal contenuto stesso dei principi, di esprimere la propria personalissima interpretazione del principio. Pensiamo ad esempio al principio perdo palla – rincorro: starà al ragazzo, in possesso della conoscenza del principio, capire quando è attuabile e quando invece bisognerà ricorrere a diverse forme di riaggressione, o capire quando invece creare e generare quell’effetto sorpresa caotico che, rompendo l’ordine generato dal principio (ho perso palla – rincorro io), può creare le condizioni per un recupero palla efficace.

Ecco che quindi l’allenatore indurrà (tramite pedagogia induttiva) nei giocatori l’ordine, attraverso quei principi di gioco che un giocatore, che voglia definirsi tale, deve conoscere, riconoscere e padroneggiare, soddisfando quella tendenza umana a dare una forma e un nome a situazioni che altrimenti sarebbero indefinite (se ho spazio davanti a me, cosa faccio? Passo? Conduco?) e che rischierebbero, in ultima istanza, di mettere in pericolo quelle connessioni tra i componenti del sistema complesso (si pensi al linguaggio comune condiviso dalla squadra, non solo inteso come linguaggio verbale, ma anche come reazione ad una situazione ben specifica) che invece sono proprio lo scudo contro cui difendersi dagli elementi imprevedibili che minano la tenuta del sistema.

? [3] F. D’Arrigo, Il senso del gioco. Riconoscere la bellezza del calcio, La Casa Usher, Verona, 2021.

Dall’altro lato, però, all’interno dell’ambiente – principio di cui si parlava sopra, il giocatore deve essere lasciato libero di esprimere sé stesso come agente creatore di caos, come elemento di rottura, come “cavallo di Troia” da introdurre nel sistema avversario, al fine di rompere l’ordine (i.e. le connessioni del sistema squadra avversaria) ed essere quindi in grado di generare situazioni positive per la propria squadra.

Il compito dell’allenatore sarà quindi quello di favorire e spingere il giocatore ad accettare il fattore caotico del calcio, essendone soprattutto agente attivo nella genesi dello stesso; questo favorirà anche lo sviluppo della capacità di presa di decisione ottimale del ragazzo, che, sperimentando varie situazioni (perché infinite), acquisirà le competenze che gli serviranno a comprendere quando essere agente attivo del mantenimento dell’ordine e quando invece agente distruttivo di quell’ordine stesso. Spetterà quindi all’allenatore convogliare i prerequisiti della presa di decisione (competenze tecniche, competenze tattiche, emozioni, condizioni ambientali), attraverso, ad esempio, la valorizzazione di esercizi di 1v1, di situazioni di gioco complesse ma libere nella forma; verso esercitazioni che, in definitiva, permettano al singolo di essere parte attiva del gioco.

Potremmo quindi dire che l’ordine è cosa dell’allenatore, il caos del giocatore, poiché se l’ordine può essere costruito, affinato, previsto, il caos invece no, è frutto di emozioni e del momento, del qui e ora, delle sensazioni, della percezione del singolo giocatore che sta vivendo quell’esperienza; è appunto imprevedibile.

Non dobbiamo dimenticarci che gli allenatori allenano le squadre, ma le squadre sono fatte dai singoli. Compito dell’allenatore è migliorare la squadra migliorando i singoli che si esprimono nella squadra. E dove, se non in una situazione caotica, il singolo ha la possibilità di esprimere il suo potenziale come risolutore positivo di quel caos? Pensiamo ad esempio a quando i bambini giocano per strada tutti contro tutti, in una sorta di catino caotico primordiale senza regole scritte o arbitri o allenatori. Chi notiamo è colui che da quel caos ne esce vittorioso, uscendo con la palla tra i piedi, dribblando e segnando in una porta improvvisata con due zaini.

Perché “l’ordine è il piacere della ragione, ma il disordine è la delizia dell’immagine.” [4]

? [4] P. Claudel, Théâtre, II, éd. Gallimard, coll. «Bibliothèque de la Pléïade», 1965

Non ho mai visto una disorganizzazione così ben organizzata, un caos così metodico e una rovina così fiorente.

Fabrizio CARAMAGNA

Accettare il verificarsi di situazioni caotiche e disordinate non significa necessariamente che vi sia un’assenza di organizzazione. Rimproverare un ragazzo per aver tentato un dribbling quando il manuale del calcio avrebbe detto che in quella situazione specifica la soluzione fosse il passaggio, significa impedire che quella farfalla sbatta le ali e, con quel battito, avere la potenzialità di creare qualcosa di bellissimo. Quanti “passala”, “tira”, “giocala” sono usciti a sproposito dalla bocca di noi allenatori e hanno ristretto quel famoso ambiente ordinato attorno ai nostri ragazzi (mandandoli in affanno), togliendogli il loro spazio vitale in nome del fragile equilibrio del nostro castello di carta?

Quante volte abbiamo lasciato i nostri giocatori e le nostre giocatrici in balia degli eventi, senza gli strumenti adeguati a comprendere le situazioni di gioco, sapendo reagire scegliendo la soluzione più adatta?

Il bravo allenatore sarà allora quello in grado di riconoscere e prevedere le possibilità di caos nell’ordine, oltre che le esigenze di ordine nel caos, trasferendo queste capacità ai propri ragazzi; sarà quello bravo, in definitiva, a creare abitudini mutevoli.

Dovremmo accettare l’idea di un modello di gioco sul ciglio, al “margine del caos”, in bilico tra un ordine stabile che renderebbe il sistema sempre uguale a sé stesso, e un caos che renderebbe impossibile ogni forma di organizzazione collettiva. Aperti ad un cambiamento continuo, ma controllato. Alla vita, più che alle abitudini. Ad un caos calmo.

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