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Creatori di metodo

La variabilità per generare apprendimento

13 Ottobre 2023

L’articolo del 9 giugno 2020 pubblicato su Ideacalcio (Apprendimento Differenziale (Differential Learning): promuovere l’Auto-organizzazione) ha già affrontato in maniera molto tecnica e quasi scientifica un tema molto ricorrente nella pratica sportiva: è la ripetizione o la variazione a generare l’apprendimento?

🧠 Quanto bisogna ripetere e quanto bisogna variare prima di dare come acquisito un comportamento, un gesto tecnico, un riflesso?

Tre anni dopo cercherò di analizzare – in questo contributo – il medesimo argomento con un taglio più tecnico-calcistico, al fine di cercare di ampliare ancora di più la panoramica su un tema tanto complesso quanto interessante e multidisciplinare.

La dottrina tradizionale ci ha sempre raccontato che: “ai ragazzi occorre insegnare la tecnica”; ricorrendo a una miriade di esercizi analitici sempre uguali a sé stessi (se non per la variazione del gesto tecnico, è ovvio). Questo filone di pensiero ritiene che la ripetizione ligia e costante nel tempo porti all’acquisizione e alla padronanza di un gesto tecnico o di un movimento.

In questo senso possiamo utilizzare esempi sia tecnici che tattici: si pensi all’abilità nel colpire la palla di interno al volo con il destro e con il sinistro, oppure a uno schema da calcio d’angolo, oppure ancora ad un’uscita dal pressing pre-codificata (a questo fine l’allenatore potrà utilizzare esercizi tecnico analitici oppure anche il famoso 11 contro 0).

Starà alla sensibilità di ogni allenatore/allenatrice ideare gli esercizi in termini di struttura, sequenza o grado di difficoltà da proporre ai suoi atleti.

L’essenza di questa tipologia di proposta è quella di segmentare potenzialmente all’infinito l’esecuzione di un compito (facendo quante più fotografie possibili dello stesso) e chiedendo all’atleta di replicare quello stesso frame n volte; fino a quando ripeterà n volte correttamente il gesto o il comportamento desiderato.

⚠️ Con n che, mi sia permessa una battuta, tende a ∞ talvolta.

Questo tipo di approccio, volendo citare l’ottimo Claudio Albertini in “Calcio, Neuroscienze e Complessità. Il contributo delle Neuroscienze e delle Teorie della Complessità alla Metodologia di Allenamento”, è quindi un approccio che possiamo definire meccanicistico – complicato: un problema si analizza scomponendolo in parti sempre più piccole di cui si studiano le proprietà e da esse si risale alla comprensione del tutto. Questo atteggiamento, non privo di efficacia se il problema è circoscritto a un ambito ristretto (come può essere ad esempio il voler concentrarsi solo ed esclusivamente su un determinato gesto tecnico), si rivela sempre meno adeguato all’aumentare della complessità dell’insieme.

I problemi complessi, che coinvolgono numerosi fattori in interazione tra loro, possono essere risolti solo attraverso un approccio sistemico che tenga conto delle relazioni tra le singole parti e di come queste relazioni determinino la qualità complessiva dell’insieme cui appartengono (cit. Claudio Albertini, cfr. sopra).

Tornando alla domanda iniziale, e cioè se sia la mera ripetizione o invece la complessa variazione a generare l’apprendimento, risulta a mio avviso del tutto evidente come la ripetizione possa avere come unico o preponderante risultato quello di creare un sostrato di conoscenza standard pack che poi però dovrà essere inserita in un contesto variabile e complesso, non complicato.

Volendo rappresentarlo sotto forma di grafico si potrebbe sintetizzare nel modo seguente:

Dal grafico si evince come, dopo un primo momento di apprendimento dal tempo di t=0 al tempo t=n, l’apprendimento non aumenta e non diminuisce, generando una sorta di plateau dove ogni gesto è uguale a sé stesso e avulso da ciò che potrebbe metterne in difficoltà l’applicazione corretta.

La variazione, al contrario, genera continui momenti di plateau di apprendimento intervallati da un aumento di quell’apprendimento; il delta sarà dato dalla capacità dell’allenatore di sottoporre a stress la fase di apprendimento (che vorrei definire mnemonico) inserendo l’elemento allenato in un contesto variabile. A pensarci bene, talvolta potremmo trovarci anche di fronte ad una situazione simile alla seguente.

💡 L’elemento variabile potrebbe indurre infatti una momentanea perdita di certezza: pensiamo a quanto più facile sia colpire di testa indisturbati durante un esercizio analitico piuttosto che un pallone da cross marcato da un difensore. In questo senso, si parla anche di “externally paced skill”, ovvero di abilità influenzate da eventi esterni (Singer 1980 in Motor Learning and human performance). Ne consegue che il gesto tecnico dovrà essere costantemente modificato e adattato per conformarsi alle richieste ambientali, in cui la maggiore variabilità scaturirà principalmente dalla presenza dell’avversario, che con le sue azioni condizionerà fortemente l’andamento della prestazione.

Quello che conta tuttavia, soprattutto nel settore giovanile, è il risultato finale, inteso non come il risultato della partita, ma che al termine del suo percorso nel settore giovanile il ragazzo/a abbiano appreso il più possibile: ecco perché penso che quella curva arancione sia destinata a vette più alte rispetto alla linea blu, in termini generali.

Dopo tutto, non solo per i gesti tecnici calcistici ma in generale, possiamo dire che la curva dell’apprendimento non è una linea retta senza intoppi: preferisco lasciare ai matematici e agli economisti l’assunto secondo cui “L’efficienza produttiva di ogni attività aumenta continuamente al ripetersi di tale attività”.

Davide Parti, nel suo “Suoni inauditi”, scriveva che “Si tratta di vedere come gli attori usano le circostanze in cui si trovano per compiere delle azioni intelligibili e scoprire un piano nel corso dell’agire…Il punto è che sì, certamente, prima di agire si delibera, si discute, si pianifica, ma, per quanto dettagliato sia il piano, quando si tratta di agire, si risponde alla situazione così come questa si delinea, affidandosi a un insieme di capacità incorporate”.

Commenti

1
  • Giovanni Di Martino ha detto:

    Molto bello, complimenti. Soprattutto perché non prende posizione netta, come spesso si sente, ma bilancia le due metodologie, chiarendo che il confine tra le due potrebbe essere proprio che la tecnica all’antica serve per creare una base solida ma poi ci vanno le variazioni per superare la stagnazione.
    Una volta forse questo succedeva perché l’allenatore ti insegnava la tecnica (muro, carrucola) e la parte delle variazioni/decisionali era la conseguenza naturale in una società dove si giocava tantissimo (a scuola, all’oratorio, per strada). Oggi lo sfondo è diverso e un ripensamento teorico impostato come nell’articolo è essenziale.
    Inoltre, per esperienza, il contemperamento tra le due serve per insegnare. Io ho visto giocatori non imparare un gesto con una spiegazione personalizzata individuale e capirlo con una esercitazione a variazione (e viceversa).

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