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Il Mio Angolo Personale

La storia di Giovanni mi insegna che …

16 Agosto 2023

E’ notizia di circa un mese fa (luglio 2023) il passaggio di Giovanni P. dall’AC Este al Venezia FC; quarto ragazzo (uno a stagione) approdato nei professionisti nei quattro anni insieme alla guida dell’annata 2010 (dai Pulcini U10 agli Esordienti U13).

La storia di Giovanni però, rispetto a quelle di Marco, Samuele e Matteo, merita un racconto a parte, poiché l’unica ad avermi davvero insegnato qualcosa.

Se il secondo e il terzo sapevo fin da quando li ho incontrati (Pulcini U10) quanto poco avrei avuto il piacere di allenarli, mentre il quarto (unico 2011 aggregato alla squadra) ha combinato ben presto qualità, passione e la possibilità di allenarsi e crescere coi più grandi, fino a due anni fa mai avrei pensato che il primo potesse letteralmente “esplodere e trasformarsi” in così poco tempo.

Giovanni, infatti, fino a Giugno 2021, seppur con l’attenuante di un biennio colpito dal COVID, era un giocatore in evidente difficoltà da tutti i punti di vista (credo il papà sarà concorde con me quando leggerà questo articolo).

In un gruppo decisamente in gamba, sicuramente il più forte che abbia mai allenato nell’attività di base, era probabilmente il più indietro dal punto di vista tecnico, coordinativo (ancor oggi qualche lacuna la evidenzia nella valutazione delle traiettorie aeree), tattico (scelte di gioco quasi sempre sbagliate) e caratteriale; la cosa che più mi preoccupava di Giovanni era infatti proprio quest’ultimo. L’unica qualità che già si intravedeva nel campo a 7 era una discreta capacità di corsa…

Ancor’oggi ricordo nitidamente un confronto costruttivo che ebbi col papà al termine di un allenamento in U11: il problema principale di Giovanni era l’eccessiva emotività che si manifestava in diverse occasioni. Ad esempio: se veniva corretto (con toni pacatissimi) si metteva a piangere, si imbronciava e concludeva praticamente il suo allenamento. In altri casi, al minimo contrasto che subiva, la scena si ripeteva. Insomma, episodi e situazioni che verso il finale del biennio Pulcini cominciarono persino a farmi dubitare sul suo proseguo con la maglia dell’AC Este.

Ciò che per me risulta tuttavia inspiegabile è ciò che è successo poi… da li a 6 mesi.

Fin dai primi allenamenti in U12 (Esordienti primo anno) ho ritrovato un Giovanni “diverso” innanzitutto dal punto di vista fisico. Sulle orme del fratello 2007, il ragazzo ha cominciato a strutturarsi non solo in altezza ma anche nella circonferenza di quadricipiti e polpacci. Ciò, in concomitanza con l’aumentare delle dimensioni del campo di gioco, gli ha permesso di mettere in luce capacità di accelerazione e di progressione col pallone che nei due anni successivi rarissimamente ho visto nella categoria.

Di li a poco, cominciandosi a vedere straripante atleticamente, sia in gara ma anche in allenamento, sono cominciate piano piano a scomparire alcune insicurezze, acquisendo fiducia nei propri mezzi (processo non ancora completato ma, considerando il punto di partenza, ampiamente imboccato positivamente); autostima che si paleserà nel corso dell’annata successiva anche nel ruolo preferito in campo.

Impiegato inizialmente da laterale basso di un 3.2.3, concluderà il biennio Esordienti prediligendo di gran lunga l’essere schierato nei 3 davanti, incidendo “pesantemente” in zona gol soprattutto in campo aperto (62 gol e 51 assist tra U12 e U13).

Se la crescita fisica è stata il primo tassello e quella mentale la conseguenza della precedente, non riesco a non pensare all’evidente miglioramento fatto da Giovanni dal punto di vista tecnico e coordinativo, in virtù soprattutto della metodologia da me utilizzata.

? Gli appassionati di Ideacalcio dovrebbero aver ormai compreso le mie “tendenze metodologiche“, improntate sulla centralità del processo di educazione al gioco = voglio portare il giocatore a star a proprio agio nella complessità e in modo autonomo, ricreando contesti di apprendimento che siano quanto più simili con ciò che il calciatore ritroverà in gara.

? Per maggiori informazioni sul metodo vi rimando se mai all’acquisto del mio libro “Educare alla complessità del gioco”

Con questa premessa intuite quanto poco il lavoro analitico possa essere stato presente durante la programmazione settimanale e annuale. Seppur non lo demonizzi, questo è stato svolto nella misura di 10-15′ nella fase di pre-allenamento (sfruttando il buon numero di giocatori già presenti e aspettando l’inizio ufficiale della seduta) e il più delle volte sotto forma di attività ludiche o a competizione.

Discorso ancor più “estremista” è da farsi sul lavoro coordinativo a secco, praticamente quasi del tutto assente nei quattro anni alla guida dell’annata 2010.

⚠️ Ed è qui che nasce la mia prima riflessione: “ma per migliorare il giocatore tecnicamente e coordinativamente non era NECESSARIO approcciarsi col metodo tradizionale/separatista?

Quello che infatti mi ha maggiormente sorpreso è stata la capacità di Giovanni di mettere in pratica, in contesti complessi, soluzioni tecniche di buona qualità pur non avendole mai allenate e ricercate al di fuori della situazione di gioco.

Ciò su cui posso darmi un merito è l’essermi impegnato, a mie spese (tempo e denaro), per portare i ragazzi ad affrontare il maggior numero di partite possibili, disputando doppi, tripli e addirittura quadrupli impegni settimanali, aumentando considerevolmente il monte ore passato a giocare; pur con una rosa da 17 elementi, in cui si è sempre cercato di far giocare tutti almeno per metà gara, Giovanni ha disputato 4.373 minuti di gioco solamente in U13 (secondo giocatore più impiegato).

“I bambini non giocano per imparare, ma imparano perché giocano”

Jean Piaget

Giovanni, oltre ad avere sicuramente delle buone attitudini per il gioco del calcio, ha semplicemente giocato TANTO.

Dante Panzeri, nel lontano 1967, sosteneva che: “è vero che il giocatore di calcio impara: certo che impara. Però non dai consigli di quelli che lo insegnano, ma dal maestro-gioco, dalle circostanze. E, soprattutto, dalla sua capacità naturale di imparare da tutto ciò: imparare dal gioco che insegna il gioco”.

Giovanni, sulla base certamente di una buona predisposizione, ha saputo approfittare del contesto che l’ha circondato, finendo per essere quel leader tecnico a cui i compagni spesso si affidavano nei momenti di maggior difficoltà; va sottolineato, inoltre, quanto il gruppo fosse coeso, con ben 11 giocatori ad aver trascorso assieme il quadriennio Pulcini+Esordienti.

“L’espressione di ogni abilità è sempre situata in un ambiente specifico e non potrà essere sviluppata indipendentemente da tale contesto”

Shawn Myszka – La scienza e l’arte di padroneggiare il movimento per lo sport

Tre sono le conclusioni di cui farò tesoro nei prossimi anni:

✅ Se mai cercassi ancora una conferma, ho avuto sotto i miei occhi la dimostrazione di quanto un giocatore possa migliorare tecnicamente rimanendo nella complessità del gioco. Nel gioco non conta come si esegue un movimento, ma come esso raggiunga lo scopo prefissato. Il gioco, per sua natura, presenta un ambiente mutevole e dunque non può prevedere una percezione fissa, una scelta fissa e di conseguenza un’esecuzione fissa. Esso consiste nella necessità di trovare e di inventare immediatamente una risposta che è libera nei limiti delle regole. Tutto ciò che è gestibile dentro al gioco è opportuno allenarlo dentro al gioco.

✅ Dal punto di vista coordinativo giungo nuovamente alla medesima domanda che ormai pongo da tempo: “è più coordinato un lottatore di Sumo o un Karateka”? Banalmente la gente risponde il secondo ma la verità è che entrambi possiedono una coordinazione specifica per la loro disciplina. Al primo occorre saper saltare nei cerchi, fare una scaletta o arrampicarsi su un albero? Ho qualche dubbio. Allora mi chiedo: come dovrò allenare una coordinazione che sia specifica per lo sport praticato? Vi lascio alla vostra conclusione…

Nel gioco di squadra non si applicano i fondamentali bensì le tecniche individuali.

Noi dobbiamo partire dal gioco con l’idea di insegnare a giocare; invece noi insegniamo a fare esercizi, pensando che poi il transfer al gioco sarà facile 

Julio Velasco

Togliere l’avversario porta ad una facilitazione eccessiva da diventare semplificazione, poiché elimina la componente fondamentale del gioco, quella dell’inganno: nel gioco è l’avversario a determinare che cosa possiamo fare e l’abilità diviene quindi quella di ingannarlo sulle nostre reali intenzioni.

✅ Concludo probabilmente con l’insegnamento e il monito più grande da portare a casa: stiamo molto attenti con le valutazioni; a maggior ragione in attività di base. La storia è piena di calciatori che sono arrivati ad imporsi ai massimi livelli dopo essere stati scartati o rifiutati da settori giovanili professionistici o di ragazzi che fino agli Allievi erano più in panchina che in campo (ricordo di aver letto un intervista di Belotti in cui affermava che fino all’U17 giocava molto poco); così come è anche vero il contrario: grandi promesse che per motivi diversi non hanno mantenute le aspettative (ricordate la storia di Gianmarco di cui vi avevo parlato?).

Mai avrei pensato di vedere un ragazzo trasformarsi nell’arco di solamente 6 mesi, passando dall’essere probabilmente il più in difficoltà della rosa a diventare elemento di spicco e tra i top della squadra, tanto da attirare su di sé l’attenzione di ben 3 club professionistici (Giovanni ha addirittura potuto scegliere dove andare).

Ogni calciatore che in questi anni ho accompagnato verso il professionismo si è contraddistinto per qualità differenti, ognuno a modo suo. A Giovanni (non me ne vogliano gli altri) ho voluto dedicare uno spazio tutto dedicato perché, come ho scritto, ha saputo far letteralmente crollare una mia precedente valutazione, insegnandomi, ancora una volta, qualcosa di nuovo.

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