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Uno sguardo sul calcio estero

L’ascesa del Brentford: il coraggio di agire

20 Ottobre 2021

 

In questa stagione di Premier League milita una squadra sconosciuta ai più: sto parlando del Brentford. In questo articolo parleremo della storia di questa squadra, poiché è fondamentale, prima di analizzare qualsiasi contesto o scenario, conoscere l’ambiente e la sua storia.

Luogo e cenni storici

Brentford è una città suburbana situata nell’ovest di Londra, alla confluenza dei fiumi Brent e Tamigi, con una popolazione che non raggiunge le 30.000 unità. La squadra cittadina, ovvero il Brentford F.C., venne fondata il 10 Ottobre del 1889, 132 anni fa. Il soprannome della squadra, “The bees”, ossia le api, è stato creato involontariamente dagli studenti del Borough Road College nel 1890 quando, durante una partita, gridarono il canto del college “buck up Bs” a sostegno del loro amico e allora giocatore di Brentford Joseph Gettins. I giornali locali interpretarono erroneamente il canto come “Buck up Bees” e il soprannome è rimasto da allora.

Stadio

Il Brentford, dal 1904 fino allo scorso anno, ha sempre disputato le proprie partite casalinghe al Griffin Park, ben conosciuto fra gli appassionati e i “groundhopper” europei in particolare per i quattro pub posizionati ai quattro angoli del perimetro dell’impianto. Il Brentford stabilì un record nel calcio inglese nella stagione 1929-1930, quando vinse tutte le 21 partite casalinghe nella Third Division South (tutt’ora valido). L’ultima partita della prima squadra giocata al Griffin Park è stata una vittoria per 3-1 contro lo Swansea City (29 luglio 2020), mentre la partita finale al Griffin Park è stata una semifinale della London Senior Cup 2019-20, giocata tra Brentford B ed Erith Town, (26 agosto 2020) in cui il Brentford B si è imposto per 6-3. A causa di svariati problemi infrastrutturali e all’impossibilità di essere riammodernato è stato costruito il nuovo stadio del Brentford, denominato Community Stadium, con una capienza di 17.250 posti (il progetto è anche soprattutto un grande intervento di rigenerazione urbana).

Rivalità

Il club ha una rivalità di vecchia data con il Fulham; in passato questo appuntamento è stato segnato dalla violenza della folla. La rivalità di Brentford con i Queens Park Rangers, invece, si intensificò a partire dal 1967 quando i Rangers fallirono nel tentativo di acquisizione dei Bees, una mossa che, se avesse avuto successo, avrebbe visto i Rangers trasferirsi a Griffin Park e Brentford lasciare la Football League. Come per la rivalità del Fulham, questa partita vede le passioni crescere tra i due gruppi di tifosi con l’orgoglio locale in gioco.

Presidente e nuovo corso

Matthew Benham è diventato proprietario della squadra a partire dal 2012. Il presidente, laureato in fisica presso l’Università di Oxford nel 1989, ha trascorso i suoi primi anni lavorativi in finanza, guadagnando gradualmente il titolo di vicepresidente della Bank of America. Dopo aver lasciato la carica e l’impiego nel 2001, Benham ha preso la decisione di avventurarsi nel mondo del gioco d’azzardo, guadagnando milioni dalle scommesse sportive; ha fondato Smartodds, il suo sindacato di scommesse. Non si sapeva molto di come operasse SmartOdds fino all’uscita nel 2019 di “The Expected Goals Philosophy”, scritto da James Tippett, ex watcher all’interno dell’azienda. I watcher sono dipendenti incaricati di guardare partite e registrare ciò che accade in maniera simile ai logger che registrano tiri, passaggi e altri eventi, per aziende come StatPerform/Opta o Wyscout.

In SmartOdds invece, gli xG vengono stimati dai watcher: i dipendenti sono addestrati a dare un valore a ciascuna occasione che vedono e a registrarla. L’idea di fondo è che un occhio umano esperto possa soppesare dettagli e sfumature che sarebbe altrimenti molto difficili da modellare con un algoritmo. Questo permette inoltre di considerare anche azioni pericolose ma che non culminano in un tiro; cosa i classici modelli degli xG non considerano. I gol attesi, calcolati in questo modo, fanno da base per una serie di modelli e algoritmi molto più sofisticati, che sono ciò che permette effettivamente all’azienda di fatturare milioni; considerato che sono il principale motivo per cui i clienti si rivolgono a SmartOdds. Da sempre tifoso del Brentford, nel 2007 dato che il club stava vivendo enormi problemi finanziari, Benham si è fatto avanti e ha fornito un prestito di $700K in modo che i tifosi potessero acquistare il club. Aveva però un’opzione: se i fan avessero rifiutato di pagare il prestito sarebbe diventato il proprietario del club; cosa che accadde nel 2012.

Per migliorare la condizione al Brentford FC, l’ormai 52enne ha deciso di utilizzare i suoi anni di conoscenza analitica all’FC Midtjylland, (una piccola squadra di calcio in Danimarca) dove ha speso quasi $10 milioni: infatti il Midtjylland è stata la cavia (ha portato il titolo di campione di Danimarca per la prima volta nella storia nel 2014, per poi ripetersi altre due volte e conquistare addirittura l’accesso ai gironi di Champions League) per testare le idee analitiche di Benham (quelle che avrebbero funzionato e che avrebbe implementato a Brentford).

La squadra di cui era diventato proprietario ha iniziato a cercare giocatori sottovalutati, a trasformarli in prospettive brillanti e a venderli con un enorme profitto. I piccoli esperimenti che il Brentford stava facendo sotto la gestione di Benham, aumentarono lentamente il valore del club e le proprie prestazioni; fino ad approdare in Premier League dopo la promozione tramite i playoff al termine della stagione 2020-21 del campionato EFL (traguardo questo che mancava da ben 74 anni!).

La parte migliore? Il club ora vale più di $ 300 milioni, e più a lungo saranno in grado di rimanere in Premier League, più il loro valore aumenterà!

Il “modello Benham” si articola su due punti fondamentali, che sono i motivi principali del successo del Brentford (e del Midtjylland) in questi anni:

  1. Scouting

Il modello Moneyball, introdotto dall’ex giocatore di baseball statunitense Billy Beane, ha portato gli Oakland Athletics al successo (una storia poi raccontata dal libro di Micheal Lewis del 2003 “Moneyball” e divenuta famosa con il celeberrimo film che ha come interprete protagonista l’attore Brad Bitt). La maggior parte delle squadre di calcio adotta una rete di scouting distinta per ingaggiare giocatori indipendentemente dalla loro età. Tuttavia, questo metodo non è fattibile per tutti. Non è possibile per i club del terzo e quarto livello del calcio inglese (e non solo) fare scouting di giocatori che giocano nella seconda o terza divisione della Francia ad esempio. Tuttavia, la tecnologia può. Il proprietario del club Matthew Benham è la radice di tutti i successi che il Brentford ha raggiunto nell’ultimo decennio, pur non disponendo di una rete di scouting espansiva. Benham ha sempre creduto nei numeri sottostanti più che nelle statistiche sulla carta. Guarda il potenziale – non una performance una tantum – attraverso la scienza dei dati e l’analisi. L’obiettivo dello scouting delle Bees è di individuare giocatori adatti alle esigenze tecniche della squadra, con potenziale inespresso e sottostimati.

I giocatori tuttavia non vengono “comprati con un algoritmo”: i dati e le statistiche vengono utilizzati per scremare tra le decine di migliaia di giocatori disponibili sui mercati internazionali – a seconda delle caratteristiche e dei parametri desiderati – e fungono da strumento di supporto all’attività manageriale e di scouting.

Per vedere l’impatto di questa gestione del mercato è sufficiente guardare lo storico dei trasferimenti su Transfermarkt (ma gli esempi sono davvero tantissimi). Nel 2014 il Brentford acquista Andre Grey dal Luton Town per poco più di 600.000 euro e, dopo una sola stagione, lo cede al Burnley per oltre 12 milioni. Il suo posto viene preso da Scott Hogan, già in rosa e precedentemente acquistato dal Rochdale per circa 950.000 euro: nel gennaio 2017 verrà rivenduto per oltre 10 milioni.

Gli aspetti in cui il Brentford ha implementato un approccio data-driven non si limitano alla gestione al settore giovanile e allo scouting. Un altro principio cardine che governa i processi decisionali è quello della distinzione tra risultati e performance. Ankersen (direttore del consiglio del Brentford) e Benham valutano quindi il successo non in base ai soli risultati ma a quella che viene definita “table of justice” (dicitura difficile da tradurre), che potremmo considerare come una sorta di “classifica corretta”, un’estensione del modello degli expected goals. Al termine di ogni partita, a partire dai valori di xG accumulati dalle squadre, si possono calcolare gli expected points: per farlo si stima quanti punti probabilmente avrebbero dovuto raccogliere le due squadre a fronte delle occasioni create e concesse. La table of justice è solo uno dei KPI (Key Performance Indicators) che i dirigenti del Brentford considerano per analizzare e valutare in maniera oggettiva e razionale il rendimento di squadra e staff, piuttosto che basarsi sulla sola classifica, ritenuta troppo soggetta alla casualità. Benham e Ankersen ritengono che nel calcio si tenda a reagire in modo eccessivo agli eventi, lasciandosi guidare dall’emotività piuttosto che dalla razionalità. La table of justice non viene utilizzata come giustificazione, bensì come strumento di valutazione!

Per sintetizzare il modello organizzativo del Brentford, Ankersen utilizza l’esempio dell’orologio: l’allenatore è responsabile della lancetta dei secondi, ovvero delle situazioni giornaliere relative alla squadra. I direttori di calcio rappresentano quella dei minuti e si occupano delle strategie di medio termine, in particolare del mercato; mentre il proprietario è la lancetta delle ore, che detta obiettivi e strategie di lungo periodo.

  1. Sviluppo tecnico ed investimento sui giovani

La volontà di implementare un approccio data-driven a tutti i livelli nella gestione del club, senza paura di agire diversamente dagli altri, ha portato Benham a prendere decisioni in contrasto con le pratiche tradizionali: una di queste ha riguardato il settore giovanile.

Per prima cosa è stato considerato il costo di mantenimento dell’Accademy: circa due milioni di sterline l’anno, di cui 500.000 finanziate da un contributo della FA; per un totale di un milione e mezzo a stagione a carico del club. L’obiettivo del settore giovanile deve essere quello di produrre giocatori in grado di raggiungere la prima squadra per integrarne la rosa o per essere venduti, fornendo un ritorno sull’investimento fatto nella loro formazione. Le evidenze erano però ben differenti però: il Brentford non inseriva stabilmente prodotti del proprio vivaio in prima squadra da oltre dieci anni e non riusciva nemmeno a coprire le spese rivendendo giocatori.

I piccoli club faticano a trattenere i giovani migliori e finiscono spesso per alimentare le Academy delle grandi squadre. I giovani calciatori non possono firmare contratti professionistici fino al compimento dei 17 anni e società come il Brentford non hanno gli strumenti per difendere i propri investimenti. Ad esempio, nel 2016, Ian Carlo Poveda, centrocampista e nazionale Under16 inglese, passò al Manchester City dopo due stagioni nelle giovanili del Brentford e, pochi mesi più tardi, Josh Bohui, ala ed esordiente della nazionale Under17, si trasferì al Manchester United. In entrambi i casi il Brentford ricevette una somma modesta in compensazione, circa 30.000 sterline ciascuno.

Questa analisi semplice e razionale della situazione portò a una risposta chiara: organizzata in quel modo l’Accademy rappresentava un costo notevole per il club e non produceva nulla. La contromossa di Benham e Ankersen fu piuttosto drastica: chiudere l’Accademy. In questo modo il Brentford rinunciava alle 500.000 sterline di contributo della FA, ma decise di reinvestire i fondi risparmiati nella costruzione di una seconda squadra: una formazione B pensata per accogliere due tipi di giocatori: gli “scarti” dei grandi club e gli stranieri desiderosi di entrare nel giro dei campionati minori inglesi come primo passo verso la Premier League (con preferenza per la fascia d’età 20-23 anni).

L’approccio del Brentford è un modo per proteggersi dall’effetto relativo dell’età ed è anche ideale per accogliere giocatori che hanno uno sviluppo tardivo. “Non capiamo i giocatori, diciamo che devono essere pronti a 21 anni, come fanno alcune squadre”, dice Rowan (direttore tecnico del club). “È importante non farsi prendere dall’età del giocatore. Se hanno talento, a un certo punto verrà fuori”.

Il secondo grande vantaggio del sistema della “squadra B” è il suo fascino per i giocatori stranieri. La ricchezza e il profilo della Premier League rende la squadra B del Brentford attraente per gli stranieri che sognano di giocare in Inghilterra. In effetti, la loro squadra comprende giocatori internazionali giovani provenienti da Danimarca e Grecia. I giocatori della squadra B hanno generalmente contratti triennali e i ruoli probabilmente “vacanti” in prima squadra nei prossimi anni sono prioritari. Il Brentford, ad esempio, attualmente ha una carenza di attaccanti, quindi Rowan è disposto a pagare maggiormente per gli attaccanti della squadra B che hanno buone possibilità di migliorare. Il sistema comporta che gli scout del Brentford possano identificare giocatori non ancora pronti per la prima squadra ma che potrebbero migliorare con la squadra B.

Il club analizza le personalità dei giocatori quando li reclutano, soprattutto per giudicare se i giocatori stranieri possano adattarsi a una nuova cultura. Ci sono in genere 25 rapporti di scouting compilati su ogni calciatore, prima che si unisca alla prima squadra del Brentford, e 10 per quelli che si uniscono alla squadra B. Prima che i giocatori vengano acquistati c’è un coordinamento tra lo staff tecnico, il dipartimento di scouting e i direttori. “Il reclutamento consiste nel commettere sempre meno errori”, dice Ankersen. “Non si tratta di avere sempre ragione. Ogni giocatore che ingaggi è un rischio e cerchi solo di fare la dovuta trattativa correttamente”.

L’ultimo aspetto che il Brentford pensa sia trascurato è il miglioramento dei giocatori. “I club non vedono i loro giocatori abbastanza come attività finanziarie”, dice Ankersen. “Il prezzo delle azioni di questo giocatore deve aumentare mentre è qui. Che cosa deve succedere perché questo aumenti? Cosa deve migliorare? Come possiamo ottenere il meglio da lui? Queste sono le domande che devi porti da un punto di vista finanziario. Il club si preoccupa di sviluppare “atleti autogestiti”: giocatori che mangiano e dormono in modo sensato e mantengono uno stile di vita appropriato per uno sportivo professionista. I giocatori scandinavi sono alcuni dei preferiti di Rowan perché creano “meno cose di cui preoccuparsi”. Ci sono cinque giocatori danesi e svedesi tra prima squadra e squadra B.

Il club è sempre concentrato sui piccoli modi per ottenere dei vantaggi. Hanno seguito corsi di cucina per migliorare le diete dei giocatori e stanno attualmente gestendo un progetto riguardante il sonno. Nonostante i passi avanti fatti nel modo in cui i calciatori vengono gestiti negli ultimi anni, Ankersen ritiene che siano generalmente ancora in condizioni peggiori rispetto ai principali atleti di altri sport. “In termini di professionalità, il calcio è molto indietro rispetto agli sport individuali”, dice. “Molti atleti individuali sono responsabili e fanno scelte di vita in un modo molto più efficace rispetto ai giocatori di calcio.”

Da quando Ankersen è diventato co-direttore nel 2015, il Brentford ha aumentato il numero di ore di formazione settimanali. “Pensiamo di poterci allenare più di quanto facciamo”, dice. “Forse perché se sei in uno sport individuale, sei responsabile se perdi, si tratta delle tue prestazioni, mentre nel calcio ci sono 11 giocatori quindi è fondamentalmente più facile nascondersi. Penso che i giocatori si alleneranno molto di più in futuro: entrano nel campo di allenamento alle 8:00 e non partono prima delle 17:00″. Ciò non comporterà una giornata di formazione convenzionale, ma l’adozione di nuove tecnologie che possano aiutare i calciatori. Ankersen ritiene che la realtà virtuale (ovvero riguardare le partite in un ambiente di gamification) e modellare il lavoro e gli esercizi di riconoscimento dei modelli, miglioreranno il processo decisionale dei giocatori.

Alla base di tutto ciò che il Brentford fa c’è la convinzione che gran parte della saggezza convenzionale del calcio sia sbagliata. “Uno dei nostri principi è che non guardiamo solo ai nostri competitor vicini, ma anche ad altri sport, ad altre aziende”, afferma Ankersen. “Ci sono molte più persone ora dall’esterno che entrano nel calcio, persone con background aziendale. Penso che sia davvero salutare”.

Bisognerebbe “investigare” sui motivi del successo e non ipotizzare che sia sempre merito della Dea bendata. Questo articolo vuole essere uno spunto di riflessione, un diverso punto di vista (che non deve essere per forza corretto), un incentivo ad aprire la propria mente al nuovo o al diverso.

Una cosa che ha avuto successo una volta non vuol dire che debba sempre andar bene; il riferimento, ad esempio, può essere fatto sul dibattito (sempre e solo italiano) sull’utilizzo della tecnica analitica o del situazionale (e in che misura). La risposta corretta – in questo esempio ma anche in molte altre circostanze – dovrebbe essere “dipende”. E ce lo spiega proprio il Brentford. Si può avere successo in un modo diverso? Si può fare calcio senza basarsi esclusivamente sulle sensazioni? Naturalmente la storia di questo glorioso club inglese potrebbe far storcere il naso a molti, considerata la scelta di abolire il proprio settore giovanile, ma è stato fatto per una chiara visione. Giusta o sbagliata? Dipende!

 

“I don’t think a lot of what we do is rocket science, but where we may be ahead still is that this is driven from the top. It’s not two interns in the basement working with data. The belief system comes from Matthew, from me and it filters down.”

(Rasmus Ankersen)

 

 

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