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Il quinquennio nero di Zemanlandia

29 Marzo 2024

Il campionato 1998-99 termina con una vittoria della Roma di Zeman per 4 a 1 sul Vicenza già retrocesso, che nulla aggiunge e nulla toglie ad una stagione nella quale la squadra ha fatto vedere un gioco spettacolare, il solito migliore attacco e un rendimento discontinuo. Niente di nuovo, anche perché la discontinuità di risultati dipende molto dalla estrema ristrettezza della rosa, che annovera solo un paio di riserve in grado di sostituire i rispettivi titolari (Alenichev per Di Francesco, Gautieri per Paulo Sergio e Petruzzi per Zago, tutti gli altri avrebbero dovuto non infortunarsi mai).

C’è poi una serie infinita di recriminazioni, a ben vedere fin troppo lunga (ma in Italia chi è che non si lamenta?). Niente di nuovo se non fosse che in ragione delle dichiarazioni di Zeman sul doping dell’estate precedente e del vaso di Pandora scoperchiato, il tecnico boemo (e di riflesso la sua squadra) hanno occhi, orecchie e mirini dell’attenzione puntati contro ;col fiato sul collo si fa sempre molta più fatica a fare tutto.

Malgrado ciò il presidente Sensi, che durante la stagione ha giurato eterna fedeltà alla causa del proprio allenatore, accompagnandolo anche a Porta a Porta, gli offre il rinnovo ed inizia a comprare i giocatori richiesti. La Roma di Zeman 1999-2000 sta prendendo forma con le trattative che dovrebbero portare Matteo Sereni in porta e Oliseh come alternativa a Di Biagio. Sono invece già acquistati Felipe per la fascia sinistra, Celso Ayala come difensore centrale e soprattutto Vincenzo Montella, il centravanti tanto agognato ed aspettato.

Ma qualcosa si incrina inaspettatamente. Da un giorno all’altro Zeman viene sollevato dall’incarico e al suo posto viene ingaggiato Capello. Il presidente ringrazia pubblicamente il tecnico e in privato si scusa con lui con una lettera segreta nella quale gli avrebbe rivelato una promessa del Palazzo di vincere in cambio della sua consegna legato e imbavagliato.

📝 Questa circostanza è venuta fuori molto tempo dopo, ma la gente qualcosa di tutto ciò aveva già intuito.

Il premio “Strega Manlio Cancogni” gli dedica un romanzo e il cantautore Antonello Venditti una canzone: in entrambe il  tema è quello di uno Zeman cristologico, che sconta con l’assenza i peccati del calcio. Sta nascendo un mito.

La Roma 1999-2000 sarà quella di Capello, quindi. Zeman viene salutato dai giornali di inizio stagione come il grande assente (con buona pace dei tifosi disperati che si sono anch’essi affezionati più alla causa che ai risultati), considerato anche che data la immane preparazione con e senza palla, il tecnico non ha mai preso una squadra in corsa.

🇹🇷 Fenerbache 1999-2000

Nel mese di ottobre, tuttavia, una notizia scuote sportivi e addetti ai lavori. “Zeman si fa turco”, titola La Stampa di Torino. A ruota tutti gli altri quotidiani, sportivi e non, rilanciano la notizia, con dovizia di battute circa il fumo come filo rosso che unisce il mister alla Turchia.

Il ricchissimo Fenerbache, club della parte asiatica di Istambul, ha appena esonerato Ridvan Dilmen, secondo in classifica, a causa di una brutta eliminazione dalla coppa Uefa. Dilmen è un ex attaccante e beniamino del pubblico, ma in Turchia, se perdi la partita sbagliata, torni a casa scortato dalla polizia (come appunto è appena accaduto). La scelta di Zeman sorprende, non tanto perché straniero (su quella prestigiosa panchina si sono già seduti Hiddinks e Lazaroni e dieci anni dopo si siederà Zico), quanto perché Zeman vince il ballottaggio con un altro allenatore italiano diversissimo da lui, Nevio Scala, scartato al fotofinish solo perché chiede un contratto biennale.

Più di tutto sorprende tuttavia l’accettazione di Zeman, che non ha mai preso una squadra in corsa e ora ne prende una, in un posto in cui non conosce la lingua, un campionato difficilissimo per abitudini, senza conoscere un giocatore, con la piazza che chiede risultati immediati e la prima partita dopo dieci giorni, con uno spogliatoio spaccato che comunque adorava il suo predecessore…che giocava a uomo e con il libero dietro. Il primo a commentare la notizia è il presidente Sensi, che se lo toglie dal libro paga e dalla coscienza, augurandogli ogni bene. Gli fa eco Francesco Totti, sorpreso per la strana scelta ma ammirato per il solito coraggio. Fascetti invece pontifica per lo stipendio principesco concordato. Il Palazzo non spende una parola e lo lascia andare con in sospiro di sollievo e l’implicito augurio che gli vada male.

Per capire questa scelta occorre risalire ad una frase su Zeman di suo zio Cestmir Vycpalek, che qualche anno prima, interrogato sul nipote, commenta ironicamente che lui cammina coi paraocchi, senza guardare cosa gli succede intorno.

Zeman atterra nel Bosforo accolto da una folla entusiasta. Per la prima volta in dieci anni non lo segue Vincenzo Cangelosi (la cui moglie sta per partorire) ma lo assistono altri due suoi ex giocatori siciliani, Dario Golesano e il fedelissimo Giacomo Modica. Appena arriva conta con i passi la lunghezza del campo di allenamento. Sembra che stia pensando già alle ripetute. Poi sentenzia: “domani faccio i test ai giocatori, se vanno lenti ricomincio la preparazione da capo”. Di sicuro non è la mossa di uno che sta pensando alla partita del fine settimana, ma da Zeman, forse, non ci si sarebbe dovuti aspettare una risposta differente.

Che quella preparazione l’abbia ricominciata o no non è dato saperlo (probabilmente no), fatto sta che le cose in Turchia non girano, come era ampiamente possibile prevedere: su 10 partite ne perde soltanto due (2-0 all’esordio contro il Trabzonspor e 2-1 il derby contro il Galatasaray) ma a metà gennaio, con la squadra al quarto posto, Zeman dà le dimissioni, motivando di non riuscire a lavorare non solo e non tanto per avere la stampa e la dirigenza contro, quanto perché i giocatori non lo seguono e in tre mesi non rileva progressi nella squadra, che – parole sue – gioca sempre peggio.

Il primo commento è del nemico Fascetti, che stempera i toni e professa piena ammirazione per la coerenza dimostrata nel dimettersi. Nel tempo resterà a Zeman il dubbio che l’interprete traducesse davvero quello che lui spiegava, dal momento che parlava un quarto d’ora per tradurre un discorso di un paio di minuti.

Napoli 2000-2001

A cominciare dalla metà degli anni novanta il Napoli conosce una crisi economica lenta ed irreversibile che lo porta a finire la disponibilità economica. Stagione dopo stagione vengono venduti i pezzi migliori per poter continuare a far fronte alle spese, finché, nel 1997, la squadra retrocede nel peggiore dei modi. Dopo due anni di purgatorio il presidente Ferlaino riesce ad allestire una squadra da promozione affidandola a Walter Novellino, che in quegli anni è una specie di Re Mida che porta in serie A tutto ciò che tocca (un po’ come Fascetti nel decennio precedente). Novellino riesce nell’impresa, ma fiuta che il Napoli in serie A non riuscirà nemmeno a trattenere i giocatori con i quali è appena stato promosso (da Oddo a Schwoch) e salta giù dalla nave anche lui, direzione Piacenza (che poi porterà in serie A).

Nella primavera del 2000 c’è un Napoli che ritorna in serie A con la piazza entusiasta come dieci anni prima quando vinceva il secondo scudetto. Ma c’è anche la serie A da affrontare. Ferlaino trova un socio nell’imprenditore bresciano Corbelli, padrone di Telemarket e con un piede nella pallacanestro, il quale, sulla carta, dovrebbe aggiungere i capitali per poter uscire dall’apnea; in più dovrebbero arrivare i miliardi di un gigantesco contratto per il passaggio dei diritti televisivi da Tele + a Stream.

La società cerca un nuovo nome per la serie A già a febbraio e incassa il no di Giovanni Trapattoni, che rifiuta senza nemmeno trattare perché probabilmente sa che dopo l’europeo sostituirà Zoff sulla panchina della Nazionale (con buona pace di tutti quelli che hanno pensato che Zoff si sia dimesso perché indignato dai commenti di Berlusconi). A campionato non ancora finito arriva la pazza idea: Zeman sulla panchina del Napoli. Le premesse ci sono tutte: una città del sud, il mare, una tifoseria caldissima in cerca di riscossa, così come il mister, e pronta ad riempire lo stadio per vederne il gioco spettacolare. Obiettivo dichiarato la zona Uefa: nomi altisonanti da Srniceck a Di Francesco, con un solo dubbio per l’esterno sinistro d’attacco. Meglio Baggio o Zola? Lo stesso Zeman, interrogato dai giornalisti più curiosi, si espone dicendo che preferirebbe Zola perché forse in condizione fisica da garantire più partite.

Zeman firma il contratto e arriva a Soccavo con i suoi vice Cangelosi e Modica, pronto a prendere le redini del nuovo Napoli, che però è tutto da costruire. Come ds arriva da Torino Pavarese, fresco di retrocessione, il quale non avendo scelto lui l’allenatore, non lo conosce, non lo stima e non riesce a procurargli i giocatori che gli occorrono per rimpiazzare quelli che sono partiti, limitandosi ad indispettirsi perché il tecnico ha rifiutato Ferrante a ritiro iniziato.

Zeman compila una lista di preferenze per ruolo, con prima, seconda e terza scelta, come faceva con Casillo, che per risparmiare non leggeva neanche le prime due. Qui iniziano i problemi, poiché viene fuori che il Napoli non ha i soldi nemmeno per comprare in serie C. Il denaro del contratto con Stream, infine, arriva scaglionato sull’intera durata del contratto stesso (ossia cinque anni).

L’unico rifugio per rinfoltire la rosa è l’aiuto dei Moggi, padre e figlio, che da una parte una mano a Ferlaino (a Napoli non la rifiutano) ma dall’altra occorrono i soldi. La soluzione definitiva è dunque quella di riempire il Napoli di tutti i giocatori della Gea svincolati, che in qualche modo devono essere piazzati. Sulla carta ci sono anche grandi nomi (Pecchia, Fresi), ma nella sostanza alcuni si presentano a Soccavo con il fisico da ex giocatori.

La rosa del Napoli si compone strada facendo, con alcuni elementi che arrivano già infortunati (come Vidigal) e all’inizio del campionato non ci sono nemmeno tutti i ruoli coperti; manca ad esempio un terzino sinistro, ruolo nel quale viene adattato Troise, che però è un difensore centrale e patisce molto la collocazione forzata.

Prima che il campionato cominci, quando qualche difficoltà inizia a trapelare dal ritiro e dopo l’eliminazione dalla Coppa Italia per mano della Sampdoria, è lecito chiedersi se Zeman abbia valutato come mai proprio il Napoli, squadra decaduta ma allineata al 100% con il Palazzo, abbia scelto lui; considerata inoltre la fuga di Novellino, che sarebbe magari rimasto a godersi la serie A maturata tanto faticosamente.

Fermo restando che il Palazzo non lo ha perdonato per niente (ma questo verrà fuori anni dopo), l’accettazione di una panchina così malconcia si può comprendere con la voglia di evitare quella progressiva emarginazione pilotata che il tempo gli sta riservando. A tutto ciò si aggiunge comunque la frase di Vycpalek sui paraocchi.

Il Napoli “direct to Uefa” di Zeman arriva alla prima di campionato con i nemici giurati che lo attendono al varco: la Juventus alla prima e Marcello Lippi alla seconda. Contro la Juve non va neanche così male: il Napoli attacca tutto il primo tempo, è padrone delle fasce e passa in vantaggio con Stellone. Nella ripresa però il ritmo cala e la forza tecnica dei giocatori avversari viene fuori; la Juve pareggia e poi vince con gol di Del Piero, che non segnava su azione da prima di rompersi i legamenti crociati due anni prima. Il meglio del Napoli di Zeman è comunque quel primo tempo con la Juve.

Marcello Lippi alla seconda giornata nemmeno ci arriva, perché all’Inter ha più problemi di Zeman, tanto da essere sollevato dall’incarico dopo aver perso la prima (oltre che la pazienza in conferenza stampa). Lo sostituisce Tardelli che rifila al Napoli un secco 3 a 0, nel quale emergono i tutti i limiti tecnici, tattici e fisici della squadra. Vengono meno anche gli aspetti positivi della partita precedente, come la squadra corta e l’ordine sulla fascia destra di Sesa e del terzino marocchino Saber.

Alla terza giornata sale in cattedra il portiere Coppola, che nella partita contro il Bologna propizia una autorete e ne fa altre due di mano propria, per un 5 a 1 finale. Coppola dopo la serie B è rimasto al Napoli pretendendo l’opportunità di potersi giocare il posto da titolare, mentre il giorno dopo quella partita viene venduto proprio al Bologna dove farà la riserva a Pagliuca. A fine partita Enrico Varriale chiede a Zeman se pensa che i giocatori credano ancora nel suo progetto. E Zeman risponde serafico che il “progetto è quello di giocare a calcio, io non so se loro ne abbiano uno diverso”.

Fatto vuole che dopo questa terza giornata la stampa inizia ad infierire su Zeman, presentato come un allenatore che parla troppo e conclude molto poco. Anche internamente al Napoli iniziano le procedure di scarico: prima di scaricare l’allenatore vengono scaricate le responsabilità. Pavarese non lo voleva e fin lì è chiaro. Ferlaino nemmeno e imputa la scelta a Corbelli. Ma anche Corbelli rifiuta che gli venga addossata la scelta, tanto che il settimanale “Rigore” nota l’anomalia, come se appunto Zeman si fosse intrufolato da solo.

Le acque si calmano apparentemente alla quarta giornata con il primo punto generato nello scontro salvezza con il Lecce, nel quale il Napoli va in vantaggio prima di farsi rimontare su un calcio piazzato nel quale la barriera si apre in due e lascia passare il pallone. Nel frattempo è arrivato d’urgenza al capezzale dell’area di rigore Franco Mancini, il numero uno di Zeman, che con il Lecce salva diverse volte il risultato (i tempi delle uscite non gli mancano), ma nella partita successiva regala la vittoria al Vicenza con uno dei rarissimi errori della sua immensa carriera. La sfortuna, come si dice, ci vede benissimo.

Alla sesta giornata Zeman ha l’ultimatum: o fa punti o viene cacciato. Pareggia in trasferta a Perugia, ma viene cacciato lo stesso. Va in vantaggio con gol di Nicola Amoruso e, quando la notizia appare sui tabelloni dell’Olimpico, la curva sud della Roma, che in quella stagione vincerà lo scudetto, esplode in un mega boato di gioia. Il Perugia poi pareggia con un rigore abbastanza dubbio ma il risultato rispecchia i valori espressi in campo.

Anche in questo caso, siccome nessuno lo ha voluto, nessuno si vuole prendere la responsabilità di esonerarlo, per cui viene inscenata una contestazione da parte di alcuni responsabili dei gruppi organizzati del tifo, che richiamano i giornalisti chiedendo la testa del tecnico. E’ sintomatico però che la domenica dopo alla prima di Mondonico, la curva B esponga uno striscione con scritto: “Zeman è uomo colto e di grande professionalità, solo chi lo ha contestato mai lo sarà”.

Al processo di Calciopoli Zeman, ascoltato come testimone, sosterrà che l’incarico di Napoli fosse una trappola di Moggi per segargli il collo, cosa che in realtà è abbastanza avvenuta. Probabilmente però l’assunto è vero a metà. E’ infatti più probabile che Moggi, di fronte alla situazione economica disperata del Napoli nell’allestire una squadra per fare la serie A, abbia suggerito Zeman in modo che se il miracolo gli fosse riuscito bene, diversamente se lo sarebbe tolto per sempre.

SALERNITANA 2001-03

Il Napoli, anche senza Zeman, retrocede, e retrocede anche il mister, che si accasa alla Salernitana in serie B, accettando l’ennesima offerta del presidente Aliberti, suo fan dichiarato da sempre. Anche questa volta l’allenatore scelto dal presidente e non dal direttore sportivo creerà non pochi problemi di compatibilità. Anche questa volta non si capisce – se non grazie alla chiave di lettura di Vycpalek – come sia possibile accettare un simile progetto.

Nel 1999, appena retrocesso in B, Aliberti assume Adriano Cadregari e gli allestisce una squadra low cost fatta di giovanissimi, sulla carta a lui più congeniali. Dopo poche giornate lo manda via e chiama Gigi Cagni, che si fa arrivare una imbarcata di giocatori più navigati. La Salernitana ingrana e scala la classifica, vede la zona promozione e tenendo il ritmo preso potrebbe compiere l’impresa. Sul più bello il presidente esonera Cagni, richiama Cadregari (i due sono calcisticamente all’opposto) in modo da perdere in casa il derby con il Savoia già retrocesso e perdere soprattutto il treno per la serie A; a promozione perduta richiama poi Cagni.

La stagione successiva alterna sulla panchina Oddo padre e Sonetti, per terminare di nuovo con Oddo padre. Fa un biennale a ciascuno dei due ma a fine campionato denuncia entrambi per arricchimento ingiustificato, sostenendo che i due tecnici rifiutassero le offerte per restare a casa pagati da lui (unico caso in sessant’anni di applicazione della fattispecie prevista dall’articolo 2042 del codice, anche quello è un record).

Zeman accetta lo stesso e si mette a lavoro. Oltre a Cangelosi e Modica si porta dietro anche il professor Ferola, suo fisioterapista ai tempi della Lazio. Il presidente continua a dimostrargli che lui è contro la promozione, lasciando andare via, subito dopo il ritiro, Mascara e Di Michele, due attaccanti che in serie B con Zeman potrebbero fare 30 gol a testa.

Zeman, come scritto, si mette a lavoro con il materiale che ha. Ci sono ancora un paio di reduci della Salernitana scintillante di Delio Rossi (Fusco e Giacomo Tedesco). In porta si alternano Soviero e Botticella. Si scopre qualche giocatore adatto ai ruoli di attaccanti esterni, quali Di Vicino e Belotto (che contro l’Ancona segnerà il gol più veloce della storia in meno di 7 secondi dal calcio d’inizio). L’ivoriano Zoro, giovanissimo, fisico da centometrista e in grado di fare reparto da solo. Al centro dell’attacco viene adattato Fabio Vignaroli, al quale arrivano così tanti palloni da riuscire a segnare 20 gol e da quel momento essere considerato un centravanti (esattamente come Delvecchio qualche anno prima). A metà stagione arriva Babu, piacevole sorpresa suggerita, pare, da Cafu.

La Salernitana gioca un girone di andata discreto e discontinuo, con sprazzi di Zemanlandia, come il 4-4 contro il Cittadella di Ezio Glerean. Un bel gioco collettivo, al quale manca continuità di risultati. Il tutto in una serie B con due squadre che ammazzeranno il campionato (Modena e Como) e altre pretendenti alla promozione con i denti in fuori, come Reggina, Napoli ed Empoli.

Nel girone di ritorno viene trovata la quadratura del cerchio a livello tattico: Giacomo Tedesco viene spostato da mezz’ala sinistra al centro della mediana, al posto di D’Antoni. Sulla carta è fuori ruolo, ma il maggiore livello tecnico giustifica la scelta. D’altronde, pochi mesi dopo, il suo arcinemico Lippi farà la stessa cosa con Pavel Nedved, promosso da mezz’ala sinistra a trequartista dietro il tridente. Arriva anche la continuità di risultati con cinque vittorie di fila: Pistoiese, Siena, Messina, Napoli e Cosenza. La zona promozione è alla portata. Gennaro Bozza sulla Gazzetta dello Sport titola: “La Salernitana più forte del tempo”, alludendo al fatto che il record di vittorie consecutive era di quattro (nell’anno della promozione con Delio Rossi).

Il campionato della Salernitana finisce però a marzo. In quelle condizioni e con le ristrettezze già descritte, il tutto è spremuto al massimo, tanto da non poter andare oltre al sesto posto. La squadra ha dato tutto e molto di più; per non salire non c’è nemmeno bisogno di richiamare Cadregari o Cagni. Aliberti, inoltre, lo zampino ce l’ha già messo, impedendo nelle vacanze di Natale il richiamo di forza a secco, che di solito fa volare le squadre di Zeman in primavera.

Malgrado questo epilogo e con mille dubbi, il tecnico e il suo staff accettano il rinnovo per la stagione successiva. Campagna acquisti anche questa volta inesistente: si deve cercare di valorizzare quello che di buono si è costruito nella stagione precedente; un po’ poco per affrontare il campionato in cui giocano Olivera, Protti, Ganz, Maniero, Bazzani e Schwoch. Il girone di andata procede malissimo, non tanto dal punto di vista del gioco, quanto da quello dei risultati. Nelle vacanze di Natale salta prima lo staff e poi il mister, sostituito dal sacchiano Franco Varrella promosso dalla squadra primavera. Qui Aliberti sfodera dal cilindro un capolavoro: vende 20 giocatori e ne compra altrettanti svincolati a parametro zero, solo per finire il campionato. Ma così si arriverà ultimi!?! Certo, ma sapendo da tempo che vi saranno penalizzazioni e ripescaggi (Aliberti è vice presidente di Lega), questo non costituisce certo un problema.

AVELLINO 2003-2004

La stagione sportiva 2003-2004 chiude il quinquennio nero di Zeman con la retrocessione in serie C del suo Avellino. Questa volta però l’accettazione dell’incarico non può essere interpretata con la frase dei paraocchi di Vycpalek, perché sulla carta il progetto può funzionare. Il presidente è Pasquale Casillo e il ds Peppino Pavone: con Zeman in panchina si ricompone la magica triade di quindici anni prima a Foggia. Il ricorso storico è quasi del tutto uguale, perché l’Avellino è appena stato promosso dalla C, così come il Foggia nel 1989. I soldi a disposizione non ci sono, e non perché Casillo non voglia spendere (come nel 1989), ma perché non li ha più. Tutto è stato confiscato e demolito dai curatori fallimentari a seguito del processo per concorso esterno in associazione mafiosa, che nel 2003 è ancora pendente: che il pentito che lo accusava avesse mentito, verrà accertato solo cinque anni dopo.

Senza soldi il ruolo di Pavone diventa essenziale: trovare a pochi soldi giocatori che Zeman possa valorizzare al massimo, eventualmente poi per rivenderli a peso d’oro, come accaduto dieci anni prima, quando le cessioni fruttarono 56 miliardi di lire; con soli 18 Pavone ricostruì il Foggia per la serie A.

Per una serie B difficilissima ed eterna (24 squadre derivanti proprio dal decreto salvacalcio che ripescò la Salernitana) viene allestita una rosa discreta con tante promesse, alcune delle quali si realizzano. In porta c’è Domenico Cecere, con Luca Anania (futuro portiere di Zeman anche a Lecce e a Pescara) come riserva. Parte purtroppo il giovane Ignoffo (per fare cassa), ma Tisci, il veterano Stroppa, Nocerino e il capitano Puleo sono un’ottima base di partenza. La scommessa è il giovanissimo Kutuzov, che realizzerà 15 reti.

Questa volta Zeman non ha contro nè il direttore sportivo e nemmeno la proprietà, che gli dà fiducia anche di fronte ad un girone di andata disastroso (d’altronde anche nel 1989-90 il Foggia chiudeva il girone d’inverno al penultimo posto, per trovare la chiave di gioco e di risultati solo in quello di ritorno). Ci vuole tempo.

Il campionato inizia male, con la squadra altalenante nel gioco e sempre deludente nei risultati. Non mancano episodi dubbi, ma veramente molto dubbi. Un esempio su tutti è la gara interna contro il Messina. Il Messina ha una rosa tecnicamente da primo posto e infatti verrà promossa a fine campionato: Storari, Igor Zaniolo, Sullo, Di Napoli, Ametrano, Aronica, Roberto Sosa, tutti giocatori da serie A. Nelle prime dieci giornate non ingrana e giace all’ultimo posto. Ci vuole solo tempo, ma in B non ce n’è mai. Il tecnico Patania salta. Patania è però un tecnico della Gea e per cavilli contrattuali se lo esoneri lo devi rimpiazzare con un alto tecnico Gea. Gli unici due liberi sono Pillon e Mutti. Viene scelto quest’ultimo che arriva a Messina un giorno e mezzo prima della trasferta di Avellino e nell’unico allenamento diretto fa provare a ripetizione i calci di rigore. In gara al Messina vengono concessi due rigori che il portiere Cecere para, ma il Messina riesce a vincere con un’autorete. Probabile che viste le forze in campo la partita il Messina l’avrebbe potuta vincere anche con le sole proprie forze, ma a fine partita si fanno infinite contestazioni all’operato dell’arbitro Nucini (quello che al processo di Calciopoli vuotò il sacco e non venne ritenuto attendibile).

Alla fine del girone di andata la presidenza mette da un giorno all’altro fuori rosa e sul mercato sei giocatori di peso; altra mossa che lascia aperte varie interpretazioni. L’Avellino trova un minimo di continuità. Se si considerasse la classifica del solo girone di ritorno, l’Avellino sarebbe salvo.

Anni dopo, una volta assolto e riabilitato, Casillo rivelerà un fatto che consente oggi di dare una chiave di lettura differente ai risultati ottenuti, raccontando di avere ricevuto, proprio prima della partita col Messina, una telefonata minatoria nella quale gli sarebbe stato consigliato di scaricare Zeman in cambio della salvezza. Probabilmente si trattava dello stesso consiglio arrivato a Sensi all’inizio del nostro racconto, ma Casillo aveva già patito molto di peggio per chinare il capo e non reagire con orgoglio.

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