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Preparazione Fisica e Prevenzione

Il metodo coniugato misto nel lavoro di forza della preparazione atletica

20 Ottobre 2023

Alla fine degli anni novanta il panorama della preparazione atletica nel calcio professionistico italiano era frammentato come non mai. Se infatti da un lato ogni squadra disponeva di un preparatore atletico di ruolo (diversamente da quanto accadeva solo dieci anni prima), dall’altra c’era una eterogeneità di metodi; prospettive e metodi che ci facevano apparire (in linea generale e seppure con molte eccezioni) più indietro rispetto alla media europea.

Il motivo è che nel resto dell’Europa, in particolare nei paesi del nord, il calcio ha iniziato ad attingere metodicamente alla competenza derivante dalle altre discipline sportive, mentre in Italia ciò è avvenuto solamente a macchia di leopardo.

Vi erano gli allievi del professor Arcelli (la maggior parte dei quali arrivava dall’atletica leggera), che fecero fare un grande balzo alle squadre da loro seguite (il Milan di Pincolini e la Juventus di Ventrone, che non a caso avevano vinto tutto in Italia ed in Europa per un decennio giocando ogni tre giorni), e c’erano casi isolati di allenatori/preparatori che avevano intrapreso questa strada in base alla loro esperienza personale (solitamente multi-sportiva), quali ad esempio Scoglio, Zeman e Orrico, che ottennero risultati apprezzabili pur non venendo dal “mondo della preparazione”.

In generale però, i preparatori atletici non avevano un background per molti aspetti specifici, che diventarono ben presto importanti, se non fondamentali; ne derivò l’esigenza di ricorrere a consulenti specifici, per lo più allenatori di altri sport, medici sportivi o preparatori atletici stranieri. Oggi questo gap è stato in parte sanato da una profonda trasformazione della nostra vecchia ISEF (o scienze motorie), che è stata completamente rivoltata ed aggiornata rispetto ad allora.

Uno degli aspetti specifici per i quali molti preparatori ricorsero ad un consulente specifico fu il lavoro sulla forza. La palestra fino a quel momento era stata utilizzata solo per la riabilitazione e la fisioterapia, secondo il principio tradizionale (non sbagliato in realtà) che la parte operata si sarebbe rafforzata costruendogli massa magra attorno.

Tuttavia il calcio, rispetto ai precedenti vent’anni, stava diventando sempre più muscolare, con la conseguenza che i pesi entrarono sempre più nelle preparazioni; generando una rivoluzione non di poco conto.

La prima conseguenza (dell’entrata dei pesi nelle preparazioni) fu l’inizio di un allungamento medio delle carriere. Fino alla metà degli anni novanta molte carriere terminavano a 32-33 anni. Chi giocava fino a 35 (o oltre) era considerato vecchio; tanto che la loro longevità sportiva veniva motivata sulla base di doti fisiche innate (un esempio fu Pietro Vierchowood, che giocò fino all’alba dei 40 anni ma a 20 aveva i tempi di un velocista olimpico).

La maggiore longevità delle carriere dipese anche dai progressi medici nell’ambito della chirurgia, dei fisioterapici nella riabilitazione e, in generale, dalle metodiche di allenamento (oggi si saltano gli ostacoli, mentre quarant’anni fa no, e in campo si fratturano meno tibie e meno peroni) ma, cronologicamente, l’allungamento delle carriere coincise con la virata delle preparazioni.

I preparatori capirono che in realtà (come tutti gli altri colleghi degli altri sport) lavoravano con il meglio della genetica: ragazzi giovani e sottoposti a continui controlli medici. Occorreva approfittarne. La genetica privilegiata – tanto per capirci – è quella che nella pesistica non ti fa andare in sovrallenamento e catabolizzare se lavori troppo, ma ti fa crescere comunque; la maggior parte delle persone che si avvicina ad una palestra non ce l’ha ed è per questo che dopo un anno molti smettono, perché i risultati si bloccano, sia dal punto della forza che dal punto della massa, perché il principio che più ti alleni e più cresci è sbagliato, in quanto è il recupero che ti fa crescere.

La seconda conseguenza dell’entrata della pesistica nella preparazione fu che i pesi non funzionarono più come prima per la riabilitazione e che il recupero diventò una componente essenziale (prima non lo era).

Calciatori mediamente più grossi, perché più muscolosi, si portano dietro più chili e il recupero diventa più lento. Emblematica, in merito, la vicenda dei legamenti crociati di Del Piero, rotti nell’autunno del 1998 e recuperati molto lentamente anche sul campo (non segnò su azione per il primo anno nel quale era tornato in campo), con il commento sarcastico di Valdano che scrisse: “voi italiani avete fatto di Del Piero un Gattuso e ora ve lo tenete così!”.

 Accadde quindi che alcuni preparatori si dotarono di una figura specifica come il consulente per la  forza. Uno di questi era niente meno che Carlo Buzzichelli: preparatore che attingeva da una esperienza multi-sportiva (per lo più negli Stati Uniti) e che già svolgeva questo ruolo in altri sport di squadra. Buzzichelli, inoltre, era stato allievo del professor Tudor Bompa, pioniere nella periodizzazione dell’allenamento con i pesi.

Bompa, tra le altre cose, era stato l’ideatore di un allenamento con i pesi per la forza non basato sui tradizionali carichi massimali o sub massimali e poche ripetizioni, ma basato su carichi medi portati però allo sfinimento come numero di ripetizioni. Ciò mirava ad una crescita per così dire “chimica” del muscolo, che sarebbe cresciuto sviluppando gli elementi contrattili delle fibre muscolari (filamenti di miosina) e non dal classico aumento di fluidi e di plasma. Portando all’esaurimento il lavoro con carichi non massimali, il reclutamento delle fibre cambiava: quelle più stanche si riposavano e quelle più fresche si attivavano.

💡 Buzzichelli partì da questa teoria per trasferire negli sport di squadra i principi della pesistica, dovendo affrontare il problema (oggi di dominio pubblico ma allora no) per cui nel calcio, come in tutti gli altri sport di squadra, non era richiesto un picco di forma in un momento determinato della stagione, bensì  un livello di forma identico per più tempo possibile.

Il metodo ideato si chiamò “metodo coniugato misto” ed era la fusione mediata del metodo coniugato (utilizzato nella preparazione della NFL) e la periodizzazione cybernetica.

Contrapposto al metodo lineare, che alternava con criterio i mesi di lavoro sulla forza massimale ai mesi di lavoro sulla forza veloce, il metodo coniugato (partendo dagli studi del Prof. Bompa) li combinava, allenandoli sempre insieme (senza modificare i carichi durante un ciclo di lavoro ma variando l’intensità all’interno dello stesso e, soprattutto, variando gli esercizi tra un ciclo e l’altro per reclutare più fibre possibile); un po’ come il metodo integrato nel calcio, che elimina la preparazione atletica a secco inserendola negli esercizi con il pallone.

La Periodizzazione Cybernetica, invece, è l’allenamento che non si fonda solo sugli input (ossia sul carico di lavoro calato dall’alto in base allo schema di allenamento preparato quando si periodizza), ma anche sulla modifica che all’input arriva dall’output (ossia dal feedback che chi soggettivamente svolge l’allenamento rilascia una volta applicato lo sforzo).

Combinando questi due metodi nacque il Metodo Coniugato Misto, i cui principi di fondo erano un lavoro di forza specifica durante tutto l’anno e un costante adattamento del modello teorico alla poiesis concreta del gioco del calcio (attenzione ai feedback), con conseguente differenziazione di lavoro per il giocatore (con il progredire del macrociclo).

Venne poi separata la fase preparatoria dalla fase competitiva ed all’interno di ciascuna di esse vennero alternate le sedute con un lavoro di forza generale a quelle con un lavoro di forza specifica (entrambe più numerose nella prima delle due fasi).

Infine, nella scelta degli esercizi vennero del tutto abolite le macchine; il che fu una rivoluzione salutare, poiché la macchina forza l’esecuzione, soprattutto con carichi non bassi. Ciò ci porta a concludere che dovremmo essere tutti fatti allo stesso modo per poterle utilizzare al meglio, quando invece abbiamo ciascuno cingoli, cuffie, tendini diversi dagli altri, con addirittura la parte destra del corpo non simmetrica alla sinistra. La macchina in questo senso è una forzatura, che permette comunque di farsi male con una scorretta esecuzione; tanto vale dunque insegnare a 25 giocatori l’esecuzione corretta mediante esercizi a corpo libero (la panca piana, gli stacchi, lo squat e le trazioni). Proprio Buzzichelli dimostrò che non era una cosa impossibile.

In vent’anni il Metodo Coniugato Misto e più in generale l’utilizzo delle tecniche del body building sul lavoro di forza nella preparazione atletica nei calciatori professionisti, non è stato studiato e replicato quanto avrebbe meritato. Al contrario, non fu replicato quasi da subito ma lasciò una serie di effetti collaterali che incisero su quella trasformazione dei preparatori (e della loro formazione) alla quale si è fatto cenno ad inizio articolo.

Cominciamo con gli effetti contingenti. Il primo fu positivo, dato che la squadra pilota di questo esperimento passò dalla C alla A in tre anni, stabilizzandosi poi per quasi un decennio nella massima serie (certo non sarà solo per merito di questo pezzo di preparazione, ma andò così). Il secondo fu negativo, perché l’interesse non era tanto per il metodo, bensì per i risultati; nel senso che pochi addetti ai lavori si sforzarono di studiarne i meccanismi: tutti volevano la formula magica, ossia le tabelle di cui questo articolo volutamente non parla.

Sul lungo periodo invece, l’impiego dei concetti del Metodo Coniugato Misto, iniziò ad introdurre nel calcio una serie di principi che a tutt’oggi sono indispensabili nella preparazione atletica, quali la periodizzazione senza la ricerca dei picchi, l’attenzione ai tempi di recupero e all’esecuzione ed alla velocità degli esercizi, la multi-specializzazione dei preparatori e la personalizzazione-differenziazione dei piani di lavoro.

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